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Paola Di Caro per il “Corriere della Sera”
Il clima è caotico, le guerre sotterranee feroci. E Silvio Berlusconi sta nel mezzo, infastidito per le «forzature» di Matteo Renzi, preoccupato dall’ipotesi di un voto anticipato, ma non disposto a far saltare i patti con il premier almeno fino a quando non si arriverà alla stretta finale sul nuovo capo dello Stato, sul quale «mi aspetto una naturale convergenza» su una figura che, confida ai suoi, «dovrà essere un politico, di lungo corso, esperto e non di provenienza comunista».
Ne ha parlato anche ieri sera l’ex premier, alla cena con i deputati — in un ristorante dalle antiche frequentazioni democristiane, Checco allo Scapicollo —, ribadendo che Forza Italia «voterà le riforme pur restando all’opposizione» rispettando un patto del Nazareno «che ci è pesato molto» ma che è propedeutico all’elezione di un presidente condiviso, se «eviteremo di dividerci». Ma non ha preso posizioni troppo nette per evitare che le divisioni nel suo partito portino all’implosione e all’impossibilità di gestione dei gruppi azzurri.
Da una parte infatti si agitano i tanti nemici del patto del Nazareno, che credono — come Renato Brunetta — che l’abbraccio con Renzi faccia solo danno al partito, o che come Raffaele Fitto ne fanno un terreno di sfida in vista dei prossimi assetti interni di FI.
Dall’altra parte si muove Denis Verdini, l’uomo della trattativa, che è o almeno si sente assediato e attaccato dal «cerchio magico» berlusconiano, a partire dalla potente Maria Rosaria Rossi che ieri, dopo aver detto che FI «è pronta a votare in qualsiasi momento», ha assicurato come non ci siano problemi con il collega: «Ma se ci lavoro tutti i giorni fianco a fianco!».
L’ex coordinatore continua a tessere la tela del rapporto con Renzi sia su riforme e legge elettorale che sul Quirinale, tanto che ieri — dicono — ha incontrato il plenipotenziario del premier Renzi Luca Lotti per tenere viva una trattativa che sembra poter saltare da un momento all’altro.
E considera pazzi o incapaci tutti quelli che gli si mettono di traverso perché «io Silvio lavoro per te, non per me. Se ti va bene, se condividi quello che faccio, bene. Ma se devo subire la guerriglia continua dei tuoi, allora me ne vado», gli ha detto — e scritto in una lettera — venerdì scorso per l’ennesima volta.
Uno sfogo che fa seguito a tanti simili e che ha fatto pensare a dimissioni immediate, allo stato escluse anche dopo un colloquio chiarificatore con Berlusconi.
Perché il Cavaliere non può rinunciare a Verdini, e perché — dice chi parla con entrambi — «Silvio sa che molto si è già portato a casa, dal rinvio del conflitto di interessi alla modifica della prescrizione non in senso retroattivo, e molto ancora si può portare...». In attesa di tempi migliori, nei quali Berlusconi sembra credere: «Quando torno in campo — ha brindato con i suoi — torneranno anche gli elettori».
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