DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Alberto Simoni per “la Stampa”
I contatti con Mosca sul nucleare non si sono mai interrotti, l'Amministrazione americana lungo canali ad hoc ha dato segnali chiari sulle "gravi conseguenze" che la Russia patirebbe in caso di ricorso al nucleare. È il Washington Post a rivelare il senso degli avvertimenti americani che riassumono quello che pubblicamente sia il presidente Joe Biden, nell'intervista di domenica alla Cbs, sia i suoi consiglieri più stretti, come Antony Blinken alla riunione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, hanno detto.
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Sicuramente, e questo è quello che ha riferito un portavoce del Pentagono Pat Ryder, gli annunci e i toni di Mosca non cambiano di una virgola l'impegno e la determinazione Usa nel sostegno concreto all'Ucraina da un punto di vista militare. E politico. Né la determinazione degli alleati e della Nato. Ieri il segretario generale Jens Stoltenberg ha ripetuto le parole di Biden parlando di «serie conseguenze» se Putin schiaccerà il pulsante dell'atomica.
Washington per ora resta determinata nel consegnare a Kiev pezzi di artiglieria e munizioni - come gli Himars, sono 16 quelli dispiegati nell'Est e nel Sud che hanno favorito la controffensiva - ma da quanto trapela da ambienti vicino all'Amministrazione, se veramente la Russia facesse la mossa di ricorrere ad armi nucleari tattiche (il raggio di azione è di circa 1,5 chilometri), la replica americana si dispiegherebbe su molti livelli.
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Per ora l'Intelligence americana non ha colto movimenti da parte dei russi. «Non c'è ragione per cambiare la nuclear posture» ha confermato ieri la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre. Ricorrere a ordigni nucleari tattici rientra nella strategia definita "escalate to de-escalate", in pratica alzare il livello dello scontro per poi farlo scemare incassando qualche beneficio. È una mossa che Washington non scarta a priori, ma che considera improbabile.
Ieri, comunque, da Mosca sono arrivate parole più distensive in merito al ricorso al nucleare. L'ambasciatore a Washington si è spinto a sperare in futuro in un riavvicinamento fra Russia e Stati Uniti. A oggi però gli unici canali aperti sono tecnici: quello sul nucleare e a livello diplomatico con le rispettive ambasciate.
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Al Pentagono i piani per un'eventuale risposta russa sono pronti. E non da ieri. E gli analisti vicini alla Difesa Usa ragionano almeno su due opzioni: la prima prevede raid aerei su postazioni di lancio e forze russe, anche non direttamente coinvolte nell'operazione nucleare; la seconda invece potrebbe aprire il fronte della cyberwar con attacchi alleati al sistema di sicurezza digitale di Mosca. La Casa Bianca resta prudente, vi sono due anime nell'Amministrazione.
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La prima è quella che fa capo a Biden e che sin dall'inizio del conflitto vuole circoscrivere l'impegno Usa per evitare che la situazione scappi di mano. Ma c'è anche chi spinge per azioni più incisive. Al Congresso diversi senatori vorrebbero inserire la Russia fra gli Stati sponsor del terrorismo. La linea dura trova sponde anche a Bruxelles: ieri il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha sottolineato che la Russia «dovrebbe essere sospesa dal Consiglio di Sicurezza».
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Il Dipartimento di Stato intanto lavora per consolidare il fronte anti russo. Le posizioni di India e Cina espresse all'Onu giovedì hanno isolato la Russia e ieri Blinken ha visto l'omologo di Pechino Wang Yi. Hanno discusso della necessità di mantenere le linee di comunicazione aperte e della necessità di chiudere il conflitto ucraino. Come resta l'interrogativo.
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