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Vittorio Zucconi per “la Repubblica”
Entusiastico baciatore all' italiana, che ha costretto anche la First Lady Michelle e l'allampanato John Kerry a piegarsi per ricevere da lui il bacetto sulle guance, Matteo Renzi si è gustato lo show alla Casa Bianca con l'evidente felicità di un fanciullo accolto nel massimo Paese dei Balocchi politici.
Può darsi che questo sia il suo ultimo viaggio ufficiale a Washington, se gli andasse male il referendum, ma il giovanotto di Rignano sull'Arno che dallo scoutismo e dalla Ruota della Fortuna è arrivato fino al portico della Casa Bianca, nel luogo della Storia dove tutti i grandi della Terra sono apparsi e si strinsero la mano anche nemici mortali come Rabin e Arafat, era visibilmente deciso ad assaporare il momento. A gustarselo anche più degli agnolotti di Mario Batali.
bebe vio e teresa angela grandis
La Washington d'ottobre, sempre il mese più luminoso e piacevole in questa città sospesa tra Sud e Nord, si era vestita da festa per l'ospite italiano, gentile, ma sempre un po' cinica, avendo visto troppi sorrisi e ascoltato più promesse di amore eterno di una spiaggia estiva per farsi impressionare. Ma se le parole sono state quelle che i muri bianchi hanno ascoltato da quando Alcide De-Gasperi dovette promettere a Harry Truman la fedeltà atlantica per rompere il clima gelido che lo aveva accolto, l'entusiasmo festoso e poi il coraggioso inglese di Matteo Renzi sono stati una novità allegra.
C'era, sia da parte di Obama che sta vivendo il crepuscolo della propria avventura politica al massimo della popolarità, sia da parte di Renzi, che si divincola al minimo del favore popolare, una curiosa atmosfera di spensieratezza informale. Un tono da rimpatriata che neppure i completi d'ordinanza dei due uomini, Matteo in completo blu notte da esame di Maturità Classica circa 1960 e Barack, con cravatta grigioperla un po' da concertista jazz alla Carnegie Hall, riuscivano a ingessare. Anche il momento di ansia che circondava lo speech e che la signora Agnese nascondeva con eleganza nel suo abito di pizzo verde, si è dissolto, di fronte alla dignitosa fluidità dell'inglese che il nostro presidente del Consiglio aveva preparato con cura maniacale.
Una cura pari alla pronuncia di quel "Patti Chiari, Amicizia Lunga" detto da Obama nell'italiano fonetico scritto nel suo foglietto in "Pahttee Keeahreee, Ameeceetzeeah Loongah", per sottolineare l'immancabile riferimento alla granitica solidità dell'alleanza settantennale fra le due nazioni. Nel sollievo di chi ricordava momenti tragici del passato, il Mister President si è potuto risparmiare quel "Lei parla un ottimo inglese" concesso da George Bush a Silvio Berlusconi che aveva crudelmente trucidato la frasetta in inglese preparata a Camp David.
Sembrava, fuori dall'ingombrante interesse degli Stati Uniti alla vittoria del Sì al referendum, che i due uomini si trovassero reciprocamente simpatici. Che la sfrontatezza di Renzi, tanto diverso dalla processione di intraducibili mandarini che arrivavano, parlavano e poi scomparivano inghiottiti nel gorgo della politica romana, che la sua giovane età, vicina alla giovinezza di Barack e Michelle quando in quella Casa entrarono, li avvicinasse e li mettesse di buonumore.
Non un solo voto sarà spostato da questo incontro, che i media americani hanno trattato come un evento di mondanità glamour. La politica estera, i summit, le cene di Stato, non fanno vincere elezioni, non negli Usa, non in Italia. Ma possono produrre figure barbine. Almeno questa volta, non ne abbiamo fatte. Può bastare.
cena di stato obama renzi 5
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gwen stefani
roberto benigni e nicoletta braschi
paola antonelli
paolo sorrentino e raffaele cantone
katherine borowitz e john turturro
james taylor
jerry seinfeld
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giorgio armani cantone giusi nicolini
fabiola gianotti
cena di stato obama renzi
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