DAGOREPORT - COSA POTREBBE SUCCEDERE DOPO LA MOSSA DI ANDREA ORCEL CHE SI È MESSO IN TASCA IL 4,1%…
1 - QUELLA VOLTA CHE LAGARDE PROVÒ A «IPOTECARE» L' ITALIA
Gian Maria De Francesco per “il Giornale”
christine lagarde guarda male ivanka trump al g20 di osaka 1
«Sia noi che la Ue abbiamo sottostimato l'effetto recessivo di alcune delle misure imposte alla Grecia». Questo mea culpa datato febbraio 2016 porta la firma di Christine Madeleine Odette Lallouette coniugata (e poi divorziata) Lagarde, direttore generale dell' Fmi e presidente designata della Banca centrale europea. Una sortita che ha contribuito a migliorarne un' immagine che andava sbiadendosi per via dell'avversione sempre più generalizzata a quelle politiche di austerity propugnate dall'Unione europea a trazione tedesca. Un passato che non si può cancellare e che riflette una luce sinistra sulla nuova guida dell' Eurotower.
Basta tornare indietro al 3 e 4 novembre 2011 al G20 di Cannes per condividere quei timori che i due vicepremier, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, oggi cercano di celare con spavalde dichiarazioni. Quel summit fu differente rispetto agli altri perché aveva due Paesi europei sul banco degli imputati: l'Italia e la Spagna. E proprio quell' occasione fu l'innesco della congiura ordita da Francia e Germania, con diffuse complicità nazionali e internazionali, contro l'ultimo presidente del Consiglio italiano regolarmente eletto: Silvio Berlusconi.
CHRISTINE LAGARDE ARRIVA AL G20 DEI MINISTRI DELLE FINANZE
Proprio l'ex premier iberico José Luis Zapatero nella sua autobiografia El dilema aveva riferito di una cena ristretta all'Ue (presidente Barroso), all'Fmi (di cui Lagarde era da poco alla guida), al presidente Usa Barack Obama ai capi di governo e ministri delle Finanze di Italia e Spagna. La pratica iberica fu archiviata velocemente in quanto Madrid attraversava una crisi simile a quella italiana.
Con lo spread Btp-Bund sopra quota 500 le attenzioni si concentrarono su Berlusconi e Tremonti e fu proprio Lagarde a compiere il primo passo, offrendo prestiti in cambio del commissariamento da parte della Troika (Ue, Bce e Fmi). La prima proposta fu di 40 miliardi di euro, ma venne rifiutata così come la seconda da 60 miliardi.
xavier giocanti marito di christine lagarde
La terza fece vacillare Berlusconi perché 90 miliardi di euro avrebbero fatto comodo, visto che la manovra correttiva non aveva calmato i mercati perché mancante della riforma delle pensioni. I presenti misero «il governo italiano sotto un duro martellamento» perché accettasse gli aiuti del Fondo monetario come Grecia, Irlanda e Portogallo. Berlusconi e il suo ministro si difesero con un catenaccio in piena regola.
Tremonti, raccontò Zapatero, ripeteva: «Conosco modi migliori per suicidarsi». Ma l'immagine dell'Italia ne uscì ammaccata, anche per colpa di quel sorrisetto ambiguo tra Merkel e Sarkozy interpellati sulla capacità italiana di tener fede agli impegni. Di lì a poco, caso strano, subentrò Mario Monti che già dall'estate precedente era stato allertato dal presidente della Repubblica Napolitano ad accettare il premierato in caso di emergenza.
Anche l'ex numero uno della Commissione Ue, José Manuel Barroso, affermò che fosse «necessario staccare la spina a Berlusconi» e che la strategia doveva essere attuata mediante «una raffica di dichiarazioni da tutti i fronti».
Ecco Christine Lagarde, per quanto da una posizione defilata, era una ruota di questo ingranaggio che aveva il suo cardine nella Bundeskanzlerin e che forse non dispiaceva nemmeno alla Casa Bianca, per quanto l'amministrazione Obama abbia per lo meno evitato all' Italia (storicamente atlantista) l'umiliazione del commissariamento che non fu risparmiata invece alla Grecia.
Lo stesso segretario al Tesoro Usa, Timothy Geithner nel suo libro Stress test confermò che nell'autunno del 2011 «alcuni funzionari europei ci contattarono con una trama per cercare di costringere il premier italiano Berlusconi a cedere il potere, volevano che noi rifiutassimo di sostenere i prestiti dell'Fmi all'Italia, fino a quando non se ne fosse andato». Le pressioni operate da Angela Merkel furono rivelate dal Financial Times: l'Italia si oppose al commissariamento, la Germania voleva piegarla come fatto con la Grecia e il nulla di fatto costò quella esiziale e ulteriore impennata dello spread.
Proprio alla Grecia furono rivolte le doglianze postume di Lagarde. «Si è fatto un errore evidente nel calcolo dei moltiplicatori», dichiarò nella medesima intervista riparatrice accennando a un'ipotesi di partenza sbagliata. Washington stimava che ogni euro di spesa pubblica tagliata comportasse un decremento di 0,5 euro del Pil ellenico. Conteggio fasullo poiché l'effetto recessivo fu triplo per un' economia in crisi nonché profondamente legata agli investimenti pubblici. Anche la Grecia aveva provato a resistere. Salvini dovrà tenerne conto.
2 - CON LAGARDE UNA BCE PIÙ POLITICA MA SUI BOND RESTA IL PIANO DRAGHI
Roberta Amoruso per “il Messaggero”
La rotta è un po' quella tracciata da Mario Draghi. Quella del nuovo Quantitative easing e della politica super-accomodante. I segnali chiari che arrivano dall'economia Ue, tra crescita fiacca e inflazione ben sotto gli obiettivi, non chiedono certo di creare un nuovo manuale di politica monetaria al nuovo presidente della Bce. Nè tantomeno richiedono una lunga esperienza alle spalle da esperta di politica monetaria o governatore di una banca centrale che Christine Lagarde in effetti non ha.
Per questo ci penserà i brillante staff di tecnici. La sorpresa Lagarde ha però una carta certa da giocare nei suoi 8 anni di mandato, un profilo da policy maker e tutto il carisma necessario per creare il consenso. Qualcosa di prezioso che nelle curve non dolci che potrebbe avere il suo mandato porterà i suoi frutti nell'Europa dei mercati. Una visione che mette d'accordo un po' tutti, a poche ore dalle nomine Ue, banchieri d'affari, economisti e uomini dei mercati internazionali.
Ma anche chi come Andrea Montanino, da ex direttore esecutivo del Fmi per l'Italia e altri Paesi dell'Europa meridionale, ha conosciuto bene tutta la determinazione di Lagarde. «Peserà eccome una figura così magnetica nel nuovo corso della Bce», per il direttore del centro studi di Confindustria, «peserà la sua capacità di portare dalla sua parte anche le posizioni più lontane e conterà quell'inclinazione particolare a parlare con i politici e a trattare con tutti», quando porterà sui tavoli internazionali i temi della crescita e delle riforme fiscali e strutturali necessarie per l'Ue. Sarà più colomba che falco?
Chi la conosce bene dice che certe etichette hanno poco a che fare con la flessibilità politica dimostrata dal presidente dell'Fmi. Certamente Lagarde non appartiene alla corrente più conservatrice, non è una sostenitrice della disciplina fiscale e monetaria a tutti i costi, e si spinse in un endorsement preciso a Draghi all'indomani del lancio del maxi-piano di acquisto di titoli pubblici Ue nel 2015. Ma dopo aver impostato la rotta in continuità con Draghi, è certo che sarà la voce di lady Fmi, più che un cambio di rotta, a rafforzare la credibilità della Bce.
LA SFIDA DELLA CREDIBILITÀ
ivanka tra la merkel e lagarde
L'impressione, per Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte sim, è che Lagarde può «riuscire a costruire un consenso ampio per implementare» certe misure, «in particolare un eventuale nuovo round di Qe sfruttando le modifiche sul tavolo all'impalcatura giuridica delle precedenti versioni, al fine di allargarne il raggio di azione oltre che l'ammontare».
Almeno nel breve periodo nessun cambio di aspettativa nemmeno per Alessandro Tarello, gestore obbligazionario di Columbia Threadneedle Investments: «Ci aspettiamo un insieme di misure accomodanti, tra cui un taglio al tasso sui depositi presso la banca centrale e un nuovo Qe entro fine anno». Per il resto, sarà un mandato che avrà il focus su «temi come l'unione fiscale e bancaria, lasciando al capo economista, Philip Lane, la parte più tecnica di politica monetaria» in continuità con la linea Draghi. Una linea garantita anche dall'affiancamento - una conferma- di tecnici come il direttore delle operazioni di mercato Benoit Coeurè.
Del resto, potrebbe essere l'esperienza in dote sui temi fiscali maturata anche da ministro delle Finanze francese, oltre che la dimestichezza a muoversi nei contesti di crisi, spiega Marco Piersimoni, senior investment Manager di Pictet Asset Management, a fare la differenza. «A capo di una delle poche istituzioni europee in cui la sintesi politica funziona potrà avere un peso importante», fa notare.
Gli ostacoli non saranno pochi, però. Anzi. Si tratterà di accreditare la politica della Bce, sia verso i paesi della zona euro sia verso gli investitori globali, oltre che di impostarla», dice Dave Lafferty di Natixis Investments. E certe capacità negoziali dovranno mettercela tutta nel «sostenere le riforme fiscali e strutturali in tutto il continente, in un contesto in cui gli strumenti monetari hanno perso gran parte della loro efficacia».Chissà, però, se tante doti basteranno, si chiede Mark Haefele, di Ubs GlobalWealth Management, «a rendere l'Europa una terra più attrattiva per gli investitori».
Visto da Morgan Stanley, poco, anzi pochissimo cambierà nella rotta di Francoforte. La conferma arriverà dal lancio del nuovo Quantitative easing, dicono gli esperti. E allora si comprenderanno meglio, aggiungono, anche le dichiarazioni, da colomba di Lagarde degli ultimi mesi. Nient'altro che una conferma del sostegno esplicito già dato al famoso what ever it takes di Draghi. Anche i mercati l'anno presa così. Basta guardare il calo dell'euro e la discesa a picco degli spread nell'Eurozona, a partire dallo spread Btp/Bund arrivato ieri sotto quota 200. Non succedeva da maggio del 2018.
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