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Marco Gorra per “Libero Quotidiano”
La partita vera per la Grecia non si gioca sull’asse Atene-Bruxelles ma su quello tra Washington e Mosca. Attorno al futuro dello Stato ellenico è infatti già partito uno scontro geopolitico di massimo livello. Agli Stati Uniti conviene che la Grecia - Stato membro della Nato, peraltro - resti nell’Eurozona. Conviene a tal punto che dalla Casa Bianca non si fanno problemi a schierarsi apertamente al fianco del governo Tsipras e a sostenerne le ragioni con una veemenza che anche i più fidati alleati europei della Grecia hanno ritegno ad utilizzare.
Per dire, ieri il ministro del Tesoro statunitense Jack Lew ha chiesto a gran voce la ristrutturazione del debito di Atene (altrimenti «non sostenibile») chiedendo di fatto all’Europa di rimangiarsi il principale tabù dell’intero negoziato. Un collasso della Grecia, sostiene l’uomo dei conti dell’amministrazione Obama, «sarebbe un grave errore geopolitico».
E quando gli americani dicono «errore geopolitico» intendono «regalo alla Russia». A Washington, infatti, non sfugge l’interesse di Mosca ad inserirsi nella partita greca per cercare di staccare Atene dall’Unione europea onde portarla nella propria sfera di influenza. Non che al Cremlino facciano granché per nasconderlo, d’altra parte. I russi si sono ripetutamente detti pronti a farsi carico dei problemi della Grecia a condizione che esca dall’Eurozona e torni a battere moneta propria.
In quel caso, da Mosca sarebbero pronti a compiere gesti anche politicamente clamorosi quali l’allentamento dell’embargo per la Grecia sulle importazioni di alcuni prodotti alimentari. Il punto è che per la Russia l’annesione ideale della Grecia al proprio blocco sarebbe la manna dal cielo. Questione più che altro di posizionamento: pur senza riesumare vecchie suggestioni a base di portaerei nel Mediterraneo, dal punto di vista geografico si tratterebbe di un acquisto della massima importanza strategica per Mosca, specie considerando i problemi sorti relativamente al confine ovest in seguito alle note vicende ucraine.
Senza contare l’interesse aggiuntivo che nell’operazione avrebbero altri attori di peso dell’area quali Cina e Turchia (da dove ieri si è fatta balenare ai vicini greci addirittura l’idea di mettere in piedi una versione moderna della vecchia Via della Seta, ovviamente a Grexit avvenuta).
Alleato degli americani è il Fondo monetario internazionale. Che ha servito l’assist della vita a Tsipras diffondendo - pare a seguito di potenti pressioni da parte statunitense - il celebre documento circa l’insostenibilità del buco di bilancio greco alla vigilia del voto e che ieri, per bocca della presidente Christine Lagarde è tornato a chiedere la ristrutturazione del debito di Atene.
A dare manforte ai russi, oltre ai citati alleati regionali, ci sono per paradosso gli Stati membri della Ue più ostili a Mosca: blocco baltico e Slovacchia, infatti, spingono da mesi per la linea dura nei confronti della Grecia, anche a rischio che questo comporti un avvicinamento di Atene alla sfera di influenza russa. E Tsipras? Prende tempo. Traccheggia a Bruxelles e intanto lascia la porta aperta a Mosca.
Fa sapere di non avere piani più o meno segreti per tornare a battere moneta e intanto fa studiare ai suoi un progetto di valuta alternativa. Si dice motivatissimo a rimanere nell’Eurozona e intanto fa sapere di essere in contatto più o meno costante con Putin. Fa, insomma, quello che ad un negoziatore spericolato e facile all’azzardo come lui viene tutto sommato naturale: giocare su due tavoli cercando di massimizzare i profitti.
Il premier greco sa di non avere molto da offrire oltre al proprio posizionamento ed al proprio valore di trofeo geopolitico. Questa la merce, bisogna soltanto fare in modo di piazzarla a chi è disposto a pagarla di più. Sarà pure la riedizione della guerra fredda, ma sempre a botte di politica dei due forni funziona.
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