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Francesco Verderami per il Corriere della Sera
Raccontano che ieri, mentre Alfano tentava un' impossibile mediazione con Torrisi, al neopresidente della commissione Affari costituzionali del Senato arrivassero telefonate di felicitazioni da parte di esponenti del Pd, compresi alcuni membri del governo: «Complimenti. Mica ti dimetterai...». Eppure, il giorno prima, l' insurrezione dei renziani contro «il complotto» aveva fatto talmente effetto che Berlusconi si era precipitato a cercare con un filo di preoccupazione il suo capogruppo Romani: «Non è che con questa storia si va davvero alle elezioni anticipate?». No che non ci si va.
L' arte della dissimulazione è la componente principale nella riuscita di una manovra politica, perché serve a occultare le tracce dei cospiratori. Infatti, ora che stanno insieme in Mdp, a Bersani ogni tanto vien voglia di chiedere a D' Alema: «Senti un po', Massimo, ma quella volta dei centouno di Prodi...». Rispetto a quanto accadde quattro anni fa nel segreto dell' urna per l' elezione del Capo dello Stato, «adesso è una roba da dopo-lavoristi», sorride amaro l' ex capo della Ditta.
BERSANI E DALEMA SBIRCIATINA ALLUNITA
E non c' è dubbio che i suoi compagni di partito abbiano votato insieme alla destra e ai 5 Stelle per affondare il candidato di Renzi in commissione. Ma ci sarà un motivo se ieri tutti i protagonisti del complotto contro Pagliari hanno invitato il Pd a «guardare in casa propria». Senza l' adesione di qualche senatore democrat , infatti, Torrisi non avrebbe ottenuto quel risultato numerico. Perciò all' ex tesoriere dei Ds Sposetti viene un sospiro al ricordo delle gloriose gesta del passato: «Ai tempi di Prodi agirono dei professionisti. Questi di oggi sono dilettanti. Si sono notate subito le impronte dei renziani».
In casi come questi però la verità è l' addizione di indizi che non fanno mai una prova. Sono gli effetti politici semmai a contare. E se Renzi ha colto l' occasione per scatenare il parapiglia, è perché voleva togliere certezze a un Parlamento assopito nel convincimento di poter arrivare al termine naturale della legislatura: voleva rimarcare come il voto su Torrisi non avesse altro sbocco che il voto in autunno.
Perciò ha usato il complotto, per metterlo agli atti in una logica futura, senza però seguire il consiglio di chi - subito dopo il misfatto - lo invitava a non esagerare: «Non esagerare, Matteo». «Ma no, figurati». Di lì a poco le bocche di fuoco del renzismo avrebbero preso a bombardare avversari e alleati, chiamando in causa persino Palazzo Chigi e il Quirinale. Gentiloni, che oltre alle funzioni di governo ha l' incarico di «calmare il ragazzo», si è prodigato - pur tra sbuffi e imprecazioni in romanesco - a cercare una conciliazione.
Mattarella no. E ieri in un capannello di orlandiani in Transatlantico è scoppiata una fragorosa risata dopo una breve messinscena teatrale: «Avete visto che figuraccia? Lui non gli ha fatto nemmeno aprire il portone dopo che quello l' aveva importunato al citofono». «Lui» era il capo dello Stato, «quello» era Orfini, il reggente del Pd ribattezzato dal gruppetto «l' auto-reggente di Renzi», che aveva preannunciato un incontro al Colle.
Se non esiste la solidarietà di partito per un passo falso, figurarsi la solidarietà di maggioranza. Anche perché Alfano - che doveva già bersi la cicuta del caso Torrisi - non ha retto l' indomani alla lettura dell' accusa di «traditore» lanciatagli da Orfini sulla Stampa . E in modo inusuale l' ha mandato pubblicamente a quel paese: «Vuoi la crisi di governo? Allora assumiti la responsabilità di aprire la crisi di governo». «Che ti ho fatto?», gli ha chiesto Orfini per sms. Non si sa quale sia stata la risposta, è certo che il leader di Ap ha fatto il giro dei renziani per dire: «Avete rotto».
Ovviamente non si è rotto nulla, Renzi ha voluto solo fare le prove generali in attesa della rielezione a segretario. Ma attaccando il Pd, il ministro degli Esteri ha difeso oltre che se stesso anche Gentiloni, prolungandone (forse) la permanenza a Palazzo Chigi. Tutti sanno però che Renzi ci riproverà: «È nella sua natura», spiegava ieri Bersani ai compagni di Mdp. Il complotto non poteva provocare immediate conseguenze politiche, sebbene restino da capire molti aspetti.
Per esempio, come mai non ha funzionato il patto di reciproca assistenza tra il capogruppo del Pd Zanda e il collega forzista Romani? Concordano (quasi) tutto (quasi) ogni mattina per impedire scossoni al Senato. Mistero. Che alcuni parlamentari democratici hanno provato a risolvere chiamando Franceschini: «Dario, che idea ti sei fatto?». «Non so nulla, ero a inaugurare una mostra».
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