DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Giuseppe Sarcina per “Il Corriere della Sera”
Oltre 50 mila pagine di mail, praticamente un’enciclopedia, piombano sul cammino elettorale, già appesantito, di Hillary Clinton. Due ispettori del Dipartimento di Stato, rivela il New York Times , chiedono di aprire «un’inchiesta» penale al sottosegretario alla Giustizia, Patrick Kennedy. Secondo altre fonti, però, l’indagine non avrebbe implicazioni penali, ma l’impatto politico della notizia resta intatto.
Nel rapporto si avanza il sospetto che Hillary Clinton abbia messo a rischio informazioni riservate, usando un account di posta elettronica privata dal 2009 al 2012, nel periodo in cui ricopriva l’incarico di Segretario di Stato.
Le verifiche sono in corso dal marzo scorso, quando spuntò la vicenda, poche settimane prima che Hillary annunciasse l’intenzione di candidarsi per le elezioni presidenziali. In una prima relazione, presentata dagli stessi ispettori il 29 giugno scorso, si segnalava come la casella dell’ex Segretario di Stato contenesse «centinaia di e-mail potenzialmente classificate». In un secondo promemoria, inviato il 17 luglio sempre al sottosegretario Kennedy, i controllori notavano la presenza di notizie «classificate» in almeno 4 mail. Ma per ora non se ne conoscono i contenuti.
Il passaggio critico è proprio questo: la corrispondenza riservata delle figure chiave dell’amministrazione viene protocollata con vari gradi di segretezza. Il flusso di messaggi «classificati», con informazioni sensibili da mantenere riservate, deve scorrere nella rete informatica del governo.
Dal ministero della Giustizia si fa sapere che ancora non è stata presa alcuna decisione e, soprattutto, che non ci sarà alcuna indagine penale. Ma per la politica siamo già al «mail-gate». Così Hillary si è vista costretta a replicare: «Ho letto molte informazioni inaccurate. Tanto per cominciare le pagine sono 26 mila e non 50 mila. In ogni caso sono a disposizione per chiarimenti in ogni sede e a dimostrare che non ho violato alcuna regola sul trattamento di informazioni riservate». L’ex segretario di Stato ha sempre sostenuto di aver usato il suo account privato semplicemente per ragioni di praticità e per comunicazioni che all’epoca non erano «classificate».
Ora gli sviluppi possibili sono due. Uno più insidioso dell’altro per Hillary. Primo: il ritorno dei dubbi sull’attacco all’ambasciata americana di Bengasi, l’11 settembre 2012. La numero uno della politica estera venne accusata di aver coperto le falle della sicurezza nell’edificio dove furono uccisi quattro cittadini statunitensi, tra cui l’ambasciatore Chris Stevens. C’era qualcosa di importante e da proteggere meglio nei messaggi dell’allora Segretario di Stato? Probabilmente sì, visto che nel maggio scorso l’Fbi ha chiesto al Dipartimento di «classificare» le comunicazioni sui personaggi sospettati di aver avuto un ruolo nell’attentato.
Secondo: gli avversari repubblicani, e non solo loro, insinuano che Hillary avrebbe usato la posta privata per sottrarsi all’obbligo di informazione, sancito dal Freedom of information act, una legge del 1966 che consente ai giornalisti il pieno accesso agli atti del governo. Il «mail-gate», ci sia no l’indagine formale, sta mettendo in discussione l’affidabilità e la trasparenza di Hillary.
il comizio di hillary clinton 3
gsarcina@corriere.it
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