1. È PARTITA LA BRUCIATURA DI VELTRONI PER IL QUIRINALE! VITTORIO FELTRI, “IL FATTO QUOTIDIANO” E IL DALEMIANO LAURITO LO DANNO IN PRIMA FILA PER SOSTITUIRE NAPOLITANO 2. FELTRI: “UNO COSÌ BRAVO A GIRARE LA FRITTATA SENZA SCOTTARSI NON È MAI ESISTITO. NON HA RIVALI NELL'ARTE CAMALEONTICA. LO AVETE MAI SENTITO CRITICARE RENZI?” 3. ANCORA: “TRATTA GLI SCONFITTI CON UMANITÀ, PUR DISPREZZANDOLI. NON LI UCCIDE, LI TORTURA UN PO’. IL PAESE HA BISOGNO DI UN EMBLEMA AL QUIRINALE. E UN PARACULO PIÙ EDUCATO DI VELTRONI NON C’È. TUTTI NOI ITALIOTI CI SPECCHIEREMO IN LUI, SENZA VERGOGNA” 4. SECONDO “IL FATTO”, IL VERO FAN È BERLUSCONI: “IL PREGIUDICATO SI FIDA DI VELTRONI, E VUOLE AFFIANCARGLI GIANNI LETTA COME SEGRETARIO GENERALE AL COLLE” 5. SILVIO E WALTER, GRAZIE ANCHE A BISIGNANI E VERDINI, SI ACCORDARONO SULLA LEGGE ELETTORALE, E ABBOZZARONO UN’INTESA SU RAI, GIUSTIZIA, FEDERALISMO E PARLAMENTO

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1. E LA VELINA ROSSA BENEDICE VELTRONI AL QUIRINALE

Tommaso Labate per il “Corriere della Sera

 

Walter Veltroni Walter Veltroni

Per gli habitué di Montecitorio è stata come un’altra caduta del Muro di Berlino. Pasquale Laurito, decano dei cronisti parlamentari ed estensore della Velina Rossa, di antiche simpatie dalemiane, incrocia al bar Walter Veltroni, suo storico «bersaglio» politico.

 

E, a sorpresa, gli dice: «Se i nomi per il Colle sono quelli che leggo, farò il tifo per te». Veltroni ovviamente si ritrae («Ma figurati, sono cose campate in aria, non esistono...»). Ma il miracolo di uno dei più arcigni dalemiani che nella sfida per il Colle tifa per il nemico di una vita s’era ormai compiuto.

 

 

2. AL COLLE MEGLIO IL FURBO VELTRONI DI PRODI

Vittorio Feltri per “il Giornale

 

 Pasquale Laurito Pasquale Laurito

Il lettore mi consenta una confidenza: il fatto che Giorgio Napolitano mediti di dimettersi da capo dello Stato mi spaventa perché il suo successore potrebbe farmelo (farcelo) rimpiangere. Nel peggio, è noto, non c'è fondo. A onor del vero, l'attuale presidente fin dal giorno della sua rielezione dichiarò che non avrebbe portato a termine il mandato, immagino per un problema di età. Il 9 giugno 2015 egli compirà 90 anni ed è normale che desideri rilassarsi e non avere più a che fare con i galletti del pollaio politico. Lo comprendiamo. Pertanto non ci stupiamo che si avvicini il momento dell'addio.
 

VITTORIO FELTRI VITTORIO FELTRI

A suo tempo, questo Parlamento non riuscì a scegliere un degno sostituto di Napolitano, e tutti ricordiamo il pasticcio combinato da senatori, deputati e rappresentanti di Regioni. Un accordo politico non fu trovato, a dimostrazione di come fossero (e siano) ridotte le nostre istituzioni. Ora qualcosa (poco) è cambiato, e non è detto in meglio. Vedremo che succederà qualora imminentemente fosse necessario selezionare un nuovo custode della Costituzione, come usa dire con una forzatura. Non è nostra intenzione fornire suggerimenti al Palazzo né vogliamo partecipare alla lotteria delle candidature. Ci limitiamo piuttosto ad alcune considerazioni.
 

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Il pretendente principale al Quirinale, oggi quanto un anno e mezzo fa, ha un volto famoso, Romano Prodi, che per la sinistra è sempre stato un jolly. Quando i progressisti hanno esaurito i santi a cui affidarsi per togliersi d'impiccio, si rivolgono a lui; e lui, di riffa o di raffa, se la cava. Succederà anche stavolta? Temiamo di sì, ma speriamo di no.

 

D'altronde crediamo che Matteo Renzi, rottamatore per antonomasia, sarebbe in imbarazzo a dare il via libera al simbolo della vecchia politica, non dico un cariatide, ma quasi, cioè un signore uguale a quelli che il premier ha destinato allo sfasciacarrozze. Mi auguro di essermi spiegato senza avere bistrattato il cosiddetto Mortadella, da noi stimato se non altro perché è stato l'unico ad aver battuto due volte l'allora imbattibile Silvio Berlusconi.
 

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Posto che il centrodestra non ha - né ha mai avuto - la forza parlamentare per issare al Quirinale un uomo del proprio seme, qui occorre puntare su un tizio di sinistra, uno che però dia le garanzie di essere se non il miglior fico del bigoncio, almeno non il peggiore. L'orientamento generale dei frequentatori delle Camere è di dare la preferenza a una donna.

 

Perché? Le signore, specialmente se bellocce, sono di moda tra i rappresentanti del popolo. Si fanno i nomi del ministro della Difesa, Roberta Pinotti, e della senatrice Anna Finocchiaro, contro le quali non abbiamo nulla. Ma non ci sembrano adatte al ruolo: la prima perché non è abbastanza conosciuta dalla gente, non avendo compiuto opere tali da porla in evidenza; la seconda perché ha un neo nel curriculum, un carrello dell'Ikea trascinato dalla scorta. Episodio esteticamente aberrante.


Mi rendo conto: sono sciocchezze. Ma in politica le sciocchezze pesano assai.
 

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Per non farla troppo lunga, colui che ci sembra più attrezzato per salire al trono presidenziale è Walter Veltroni. Non inorridite. Parlo con cognizione di causa. Veltroni è stato tra i più giovani dirigenti di Botteghe Oscure, quando queste esprimevano ancora i comitati centrali del Partito comunista. Ma già all'epoca egli era abbastanza paraculo - nell'accezione positiva del termine, per carità - e agiva con grande eleganza, senza mai umiliare nessuno.

 

Morbido e garbato, fu capace di dire una cosa che in bocca a un altro avrebbe avuto il tono di una solenne presa in giro: essendo io kennediano, mi sono iscritto al Pci in quanto anticomunista. Fu talmente abile da far passare questa evidente contraddizione quale indizio di sincera democraticità. Nessuno infatti lo redarguì, nel suo e in altri partiti, per aver pronunciato una simile bischerata.

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Uno bravo come lui nel girare la frittata senza scottarsi non era e non è mai esistito. Un italiano perfetto, un democristiano in pectore fin dalla più giovane età, che non ha rivali nell'arte camaleontica di assumere il colore politico in voga. Lo avete mai sentito, Walterone, dire una parola storta su Matteo Renzi? La sua prudenza e conoscenza del mondo è fuori dubbio: se c'è un carro che promette di arrivare primo al traguardo, state sicuri, lui non ne ostacola mai la corsa verso il trionfo.

 

Veltroni ha un intuito pazzesco: va sempre dalla parte del vincitore. E ha una dote: tratta gli sconfitti con umanità, pur disprezzandoli. Non li uccide, li tortura un po', poi regala loro la patente di liberti. Non fa schiavi perché si scoccerebbe a doverli amministrare.
 

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In una circostanza, egli disse che, se avesse perso la sfida con Berlusconi alle elezioni del 2008, si sarebbe ritirato in Africa a fare del bene ai neri (non ho scritto negri) bisognosi di aiuto. Perse quella sfida, ma dimenticò l'impegno nei confronti del continente sfigato. Queste tuttavia sono sottigliezze e, alla fine, depongono a favore del kennedian-comunista per sbaglio, poiché sono la prova del suo savoir vivre.

 

Lo affermo rifuggendo da ogni ironia: il Paese ha bisogno di avere un proprio emblema al Quirinale. Un paraculo più educato di Veltroni non c'è, quindi che diventi presidente e morta lì. Tutti noi italioti ci specchieremo in lui, senza vergogna.

 

 

3. VELTRONI AL COLLE L’UOMO CHE PIACE A RENZI MA ANCHE A B.

Fabrizio d’Esposito per “il Fatto Quotidiano

 

   Chi è il Candidato, con la maiuscola, su cui il Condannato ha iniziato a ragionare domenica scorsa ad Arcore con i suoi fedelissimi? Il Candidato per il Quirinale, naturalmente. La successione a Giorgio Napolitano è il Grande Gioco innescato dalle indiscrezioni di sabato scorso sulla “stanchezza” di Re Giorgio e dalla conseguente ipotesi delle sue dimissioni nel bimestre gennaio-febbraio del ‘15. E il “ragionamento” aperto dall’ex Cavaliere è la prova regina che il patto del Nazareno con Matteo Renzi reggerà nonostante l’ammuina sull’Italicum su soglie di sbarramento e compromessi sulle quote di nominati.

UMBERTO VERONESI GIORGIO NAPOLITANO E WALTER VELTRONI UMBERTO VERONESI GIORGIO NAPOLITANO E WALTER VELTRONI

 

Come vanno spiegando, sino allo sfinimento, le colombe forziste “la pietra angolare su cui poggia il Nazareno è l’elezione del capo dello Stato ed è impensabile che Berlusconi si tiri fuori”. Aggiunge un parlamentare che conosce bene il Pregiudicato: “C’è un dato psicologico di cui bisogna tenere conto: tra Ciampi e Napolitano sono 15 anni che Berlusconi non può telefonare al Colle, è sempre stato costretto a fidarsi di vari ambasciatori, a partire da quello principale, Gianni Letta. Il patto del Nazareno serve anche stabilire un filo diretto tra lui e il Colle”.

 

   Ecco perché il Pregiudicato non romperà con lo Spregiudicato e punta il grosso delle sue fiches (a parte la scontata garanzia sulla “roba” e sulla tutela del conflitto d’interessi) su un nome davvero amico al posto di Napolitano. E ragionando, ragionando, domenica scorsa ad Arcore c’è stata una prima scrematura dei nomi possibili, con uno che svetta su tutti gli altri. Quello di Walter Veltroni, africano ad honorem, regista nonché scrittore nella sua seconda vita da autorottamato.

 

“Di Veltroni mi posso fidare”, questa la frase berlusconiana che sottintende ai primi abboccamenti in merito con il clan renziano e che prevede Gianni Letta come segretario generale del Colle. Il premier ha già messo in chiaro che spetterà al Pd fornire l’indicazione del nome e quello di Veltroni è collocato nella primissima fascia.

Verdini DenisVerdini Denis

 

Ma soprattutto è l’unico autorevole in grado di unire le due sponde del patto. Non Romano Prodi, detestato da B. ed escluso dalla stesura originaria del patto segreto. Non D’Alema, che è l’incubo di Renzi; non Casini, autocandidatosi, ma che sa di muffa democristiana; non l’ex craxiano Amato, che sarà però il nome che Napolitano farà ai due contraenti, come ultima moral suasion del suo secondo e breve mandato.

 

   Il condannato vuole una figura “morbida”, rotonda, senza spigoli come Napolitano. E il profilo veltroniano è perfetto. Non solo. Il regista che ha raccontato Berlinguer rappresenta il compromesso ideale tra le due “strade” avanzate sin qui nei vari colloqui riservati sulla successione a Napolitano. Da un lato un presidente esperto e ancora garante verso l’Europa (Draghi, Monti, lo stesso Amato) ma che schiaccerebbe inevitabilmente i due soci del Nazareno. Dall’altro una soluzione più giovane, magari rosa, tenuta in pugno dal renzusconismo.

bisignani luigibisignani luigi

 

   Veltroni è a meta tra le due “strade” e può soddisfare le condizioni del patto. Starà poi a lui, icona politica del buonismo e del “maanchismo”, districarsi tra i primi due macigni del suo eventuale settennato: gli azzardi renziani sul voto anticipato, soprattutto quando l’Italicum sarà approvato, e l’eterna richiesta di grazia motu proprio per il Condannato. Sogghigna un deputato dem informatissimo sulla trattativa in corso: “Un presidente che si trovasse a fare subito tutte e due le cose, scioglimento delle Camere e grazia a B., si ritroverebbe i forconi in piazza del Quirinale”.

 

   I rapporti tra il primo segretario del Pd e Berlusconi non sono mai stati agitati. Fa parte ormai della storia di questo Paese, la celebre campagna elettorale delle politiche del 2008, quando Veltroni candidato premier del centrosinistra non citò mai l’avversario. Ovviamente Berlusconi stravinse e arrivò all’acme della sua popolarità con il discorso bipartisan sulla Resistenza a Onna. Dettaglio da non sottovalutare la trattativa segreta che B. e Veltroni fecero per introdurre la soglia del 4 per cento alle elezioni europee del 2009. Tutto si svolse a partire dal gennaio del 2009, come ha rivelato uno scoop del Male di Vauro e Vincino nel 2011, e l’incontro decisivo si tenne a casa di Goffredo Bettini, l’inventore del modello Roma.

gianni lettagianni letta

 

   Indovinate chi c’era a rappresentare Berlusconi? L’ineffabile Denis Verdini e finanche il faccendiere pregiudicato Luigi Bisignani. Un tris di logge: P2, P3 e P4. Poco dopo s’insediò anche Mauro Masi alla direzione generale della Rai. Fu il Riformista, qualche anno prima, a svelare i contenuti dell’accordone tra B. e Veltroni: Rai, legge elettorale, giustizia, federalismo e regolamenti parlamentari. Unica controindicazione alla candidatura renzusconiana di Veltroni è il posto da dove è partito per la prima volta il suo nome: il Foglio di Giuliano Ferrara, monolocale giornalistico dell’inciucio permanente. Fassino, su quelle colonne, nel 2006 lanciò D’Alema. E venne fuori Napolitano.