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Da "Il Foglio"
Tredici mesi fa, a leggere gli editorialisti- economisti della stampa d'establishment, non sorgeva dubbio alcuno: Mario Monti, presidente della Bocconi ed editorialista del Corriere della Sera, era il più adatto di loro e dunque tra i migliori in assoluto per guidare il governo italiano e imporre una pausa forzata a politici spesso incompetenti. Oggi quegli stessi editorialisti-economisti vanno all'assalto dell'Agenda Monti, cioè del documento che il premier ha pubblicato per alimentare il dibattito elettorale. Le riforme liberali indicate nell'agenda? Troppo poco, troppo tardi.
Ieri sono stati Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, sulla prima pagina del Corriere della Sera, a bocciare il programma con cui Monti vorrebbe aggregare forze politiche riformatrici: "Troppo stato in quell'agenda", il titolo del loro editoriale. Ancora: "Di ridurre lo spazio che occupa lo stato non si parla abbastanza nel programma che Mario Monti ha proposto agli italiani". Sarà pure vero che in un anno di governo tecnico si poteva fare di più e di meglio per tagliare la spesa pubblica, ma immaginarsi che nel prossimo anno o due si possano limare le unghie allo stato italiano per renderlo tale e quale alla Germania di oggi o all'Italia degli anni 70 (per rimanere ai due casi citati da Alesina e Giavazzi) pare altrettanto improbabile.
Inoltre: perché svolire in modo scontato la spending review avviata da Monti, che 12 miliardi di euro di risparmi nel 2012 li ha garantiti e che altri 12 miliardi di euro di risparmi nel 2013 garantirà ? Troppo poco, troppo tardi, lo stato minimo occorre qui e ora, sembra la risposta degli economistieditorialisti. E allora ecco che si ritira fuori il dossier Alitalia (in cui il ministro Corrado Passera, da banchiere, ebbe un ruolo, ma Monti?) e poi ancora l'imperfetta separazione di Snam rete gas da Eni (ma almeno separazione è stata, grazie a Monti, o no?). Insomma, nell'Italia della spesa pubblica che pesa più della metà del pil e delle riforme del lavoro osteggiate da industriali e sindacati uniti, tutto ora vale per criticare - da prof. e da liberali, sia inteso - l'agenda Monti.
Qualche osservatore malizioso liquiderebbe il tutto come una "faida" tra bocconiani: Giavazzi in fondo è della Bocconi, Alesina è di Harvard ma quest'anno "di passaggio" in Bocconi come visiting professor. Anche Tito Boeri è della Bocconi. Boeri che, dopo avere criticato duramente su Repubblica la riforma Fornero del mercato del lavoro - che pure va nella direzione del suo "contratto di lavoro unico" - alla vigilia di Natale si è occupato anche lui di Agenda Monti.
"Un'agenda che arriva in ritardo", è il titolo del suo intervento sul sito Lavoce.info. Bocconiano, per la precisione rettore dell'ateneo milanese fino allo scorso settembre, anche Guido Tabellini, che ieri sul Sole 24 Ore ha riconosciuto "il coraggio di aggregare con le idee", ma poi ha giudicato il programma "assai più riluttante a indicare che occorre anche rivedere in modo non marginale i confini tra pubblico e privato".
E a fianco all'articolo di Tabellini, sempre sul Sole 24 Ore di ieri, c'era un commento di un altro liberista doc, Luigi Zingales (solo laureato in Bocconi, poi emigrato a Chicago), dal titolo tutt'altro che tenero con le proposte di Monti: "Sulla crescita solo princìpi senza proposte". Più che faide tra bocconiani, questi paiono eccessi d'impazienza.
"La mania del âtutto e subito' è un leitmotiv di certi intellettuali - dice al Foglio il sociologo Luciano Pellicani, già direttore di Mondoperaio e oggi docente alla Luiss - Nella seconda metà del '700, la zarina Caterina, a cui Voltaire scriveva spesso per consigliare i princìpi di buon governo ai quali attenersi, rispose garbatamente all'intellettuale: âSono d'accordo con i suoi princìpi, ma quando provo ad applicarli con la popolazione nasce poi un certo âattrito'". Oggi Monti quell'attrito lo conosce bene. Più che le vesti di liberista, ha smesso le vesti di editorialista. I suoi ex colleghi massimalisti dovranno farsene una ragione.
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