DAGOREPORT - È TORNATA RAISET! TRA COLOGNO MONZESE E VIALE MAZZINI C’È UN NUOVO APPEASEMENT E…
Maria Elena Vincenzi per "Roma.Repubblica.it"
Quattro ore di interrogatorio con il pubblico ministero Paolo Ielo per difendersi e portare una serie di documenti con cui spiegare le sue verità su quella mazzetta destinata ai politici romani. Un fondo nero che lui ha contribuito a creare e che, poi, stando a quanto gli ha detto Ceraudo nel giugno del 2009, sarebbe servito per "compiacere" "la segreteria di Alemanno".
Si è presentato ieri a piazzale Clodio Edoardo D'Incà Levis, l'imprenditore che ha messo in contatto Breda Menarini con la Skoda per il subappalto dei filobus. Una vicenda che lo vede indagato insieme all'ex ad dell'azienda bolognese, Roberto Ceraudo, e all'ormai ex ad di Eur Spa, Riccardo Mancini, nelle cui tasche quella tangente sarebbe finita.
Esce dall'interrogatorio provato, D'Incà Levis. "Beh, non è un momento facile per me. Sono dimagrito molto in questi mesi per lo stress". La stessa tensione con cui era entrato negli uffici giudiziari. "Non avrei mai immaginato di trovarmi coinvolto in una storia del genere. Mai. La verità è che la verità va comunque punita. Guardi cosa mi è successo".
Cosa?
"Che sono stato macinato".
Beh, signor Levis, ma lei sapeva che quei soldi messi da parte e poi girati su un suo conto in Svizzera erano una mazzetta.
"Sì, lo sapevo. Ma fa parte di un sistema. Nel mio settore succede".
Che cosa vuole dire?
"Il bando di gara per il corridoio della mobilità fu pubblicato durante la giunta Veltroni. E fino a che Veltroni è stato sindaco tutto faceva pensare che l'appalto sarebbe andato a una lega di cooperative. Quando è arrivato Alemanno, dopo la sospensione, l'appalto è stato assegnato alla De Santis Costruzioni che offriva un 10 per cento in meno rispetto alla seconda classificata. Capisce questo che vuole dire?".
Me lo spieghi.
"Penso che non servano altre parole".
Insomma, lei pensava che quei soldi fossero per il costruttore.
"Mai ho immaginato, né mi è stato detto che sarebbero finiti alla politica. Mai prima di quella conversazione su Skype".
Ma sempre una tangente era.
"Sono due cose diverse. Non a caso guardi ora in che casino mi trovo per aver aiutato un'azienda con cui avevo rapporti da anni. Peraltro lo sa quanto ho preso io per tre anni di lavoro? Centomila euro. Il resto dei soldi, 750mila euro, sono andati a Ceraudo e io non avevo idea della fine che avrebbero fatto".
Però c'erano le false fatture che, peraltro, il pm le contesta.
"Beh, quelle effettivamente c'erano. E io lo ammetto: non a caso ho fornito al magistrato l'estratto conto del mio deposito svizzero. E se dovrò pagare per quelle, pagherò. Ma tutto il resto, davvero io non lo sapevo".
Poi, però, ha saputo.
"Solo quello che ho detto al giudice Aprile. Solo quelle parole. Che quei soldi erano per la segreteria di Alemanno, nulla di più. Per fortuna".
Perché?
"Sono finito in un ciclo di fuoco dal quale non so come ne uscirò. Il mio nome è su tutti i giornali come il grande accusatore di Alemanno, si figuri. Io ho solo riportato quello che mi è stato detto. Tutto per aver aiutato una bella azienda italiana che conoscevo bene e che stava attraversando un momento di difficoltà e aveva 350 operai in cassintegrazione. Non voglio fare il buon samaritano, anche io, secondo i patti, avrei dovuto avere il mio tornaconto. E invece mi trovo qui, ancora una volta, a dover rispondere al magistrato".
EDOARDO INCA LEVISEdoardo D'Incà LevisBREDA MENARINI BUSROBERTO CERAUDORICCARDO MANCINI AD DI EUR SPA jpeggianni alemanno
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