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Antonio Grizzuti per “la Verità”
Alla fine la montagna ha partorito il classico topolino. Il team di esperti nominati a novembre (denominato High level group, Hleg) dall' Unione europea ha diffuso lunedì il rapporto A multi-dimensional approach to disinformation sulle fake news e la disinformazione in rete. Sono stati necessari quattro mesi, trentanove esperti, una consultazione pubblica e un sondaggio che ha coinvolto oltre 25.000 cittadini per sfornare una quarantina di pagine che in più di un passaggio suonano come un clamoroso dietrofront.
Già dal primo paragrafo si capisce l' antifona. «La vera minaccia è la disinformazione, non le notizie false», si legge nell' apertura del documento. «Il termine "fake news" non riesce a cogliere la complessità del problema della disinformazione, che comprende contenuti che non sono totalmente falsi ma sono costruiti mescolando le informazioni con i fatti», precisa il team di specialisti guidati dalla professoressa Madeleine de Cock Buning dell' Università di Utrecht, di cui fanno parte anche gli italiani Federico Fubini e Gianni Riotta.
Inoltre, si legge, l' espressione "fake news" «non solo risulta essere inadeguata, ma anche ingannevole, perché alcuni politici e i loro supporter se ne sono appropriati, utilizzandola per bollare tutto ciò che non ritengono accettabile». Gli esperti suggeriscono dunque di cambiare registro per evitare pericolose strumentalizzazioni.
Ma è sul punto più contestato, quello della libertà di espressione, che si leggono le cose migliori. «La maggior parte delle azioni messe in campo non dovranno essere di carattere legislativo», in quanto «l' Hleg ritiene che le reazioni più efficaci siano quelle che coinvolgono una pluralità di soggetti, tendano a minimizzare l' impatto normativo» e nel contempo «evitino l' esercizio della censura stabilendo quali forme di espressione siano accettabili e quali no». Detto con parole più semplici: sì agli strumenti per educare utenti e giornalisti a un approccio critico all' informazione, no alle liste di proscrizione che bollano i media sgraditi come inaffidabili.
Esattamente quanto invece è accaduto al sito olandese Geenstijl.nl, finito nel mirino di Eu Vs Disinformation (Euvsdisinfo), la piattaforma online gestita da East stratcom. Lo scorso gennaio i debunker dell' agenzia comunitaria hanno etichettato come "disinformazione" un articolo apparso sul sito nel lontano 2015 con critiche legate alla visita del presidente ucraino Petro Poroshenko all' università di Leiden. Si ventilava la possibilità che a Poroshenko potessero essere chiesti chiarimenti sulla crescita delle sottocorrenti fasciste denunciate dal sociologo ucraino Volodymyr Ishchenko sul The Guardian.
Un errore nella traduzione ha fatto scattare l' allarme: la frase in lingua originale è stata riportata in inglese come «paese fascista». Fatto non trascurabile, la segnalazione è partita dall' organizzazione Promote Ukraine. L' immediata contestazione degli autori è stata accolta quando la frittata era già bella che fatta. Nonostante la rimozione del "bollino nero" da parte di Euvsdisinfo, buona parte dell' opinione pubblica continua a giudicare Geenstijl come un sito che diffonde fake news.
La vicenda ha scavalcato i confini della rete, arrivando fino al Parlamento e alle aule di tribunale. Il 6 marzo i deputati olandesi hanno approvato una mozione nella quale si invita il governo di Amsterdam a «proteggere la stampa nazionale» e «sollevare l' agenzia Euvsdisinfo» dal controllo delle notizie.
«Il dibattito è partito a seguito di false accuse di disinformazione da parte della taskforce nei confronti di tre media outlet olandesi», spiega alla Verità Peter Kwint, primo firmatario della mozione. «Personalmente ho espresso due tipi di obiezioni durante la discussione della mozione, una di metodo e l' altra di carattere ideologico», spiega Kwint. «L' approccio dell' agenzia è stato incredibilmente amatoriale, ma cosa ancora più importante il Partito socialista (di cui Kwint fa parte, ndr) rifiuta l' idea che un gruppo di civili valuti la qualità del lavoro dei giornalisti». Per la cronaca, la mozione è passata con 109 voti a favore e 41 contrari.
gianni riotta parallelo italia
La vicenda ha avuto anche uno strascico legale. Geenstijl ha mosso i suoi legali ottenendo una pronuncia del Tribunale di Amsterdam per il 14 marzo. Nel frattempo, l' 8 marzo è stata pubblicata sul sito Euvsdisinfo una nota con la quale si spiega che tre articoli di altrettante testate olandesi sono stati erroneamente inclusi nella lista dei casi di disinformazione. A seguito della verifica, gli articoli sono stati rimossi dalla black list. «Ci impegniamo costantemente a garantire l' accuratezza del database Euvsdisinfo», si legge nel comunicato, «e stiamo prendendo provvedimenti per migliorare ulteriormente le nostre procedure interne».
poroshenko a davos con un pezzo di autobus ucraino fatto saltare da filorussi
La rettifica però non ha convinto quelli di Geenstijl. Un membro della redazione olandese ha fornito alla Verità la lettera scritta ieri dal legale che si occupa del caso. «Siamo contenti di vedere che l' Unione europea è disponibile ad ammettere i suoi errori, ma andrebbe anche sottolineato che questo caso prova che l' Ue è solo un povero perdente», si legge nella missiva. «Ieri abbiamo ricevuto una lunga replica nella quale l' Ue contesta che la competenza sia del Tribunale di Amsterdam. A quanto pare l' Ue preferisce sprecare il denaro pubblico in questo modo».
«La questione fondamentale», prosegue la nota, «è che l' Unione europea, con le sue false accuse di fake news, ha violato il diritto fondamentale di libertà di espressione dei media e che alla fine ha ammesso il proprio errore». «Crediamo non sia il caso di spendere altri soldi pubblici», conclude il legale, «per questo motivo ritiriamo la causa». Una bella lezione di stile, non c' è che dire.
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