DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Anais Ginori per repubblica.it - Estratti
Alcuni lo chiamano già «Bayrousina», e l’allusione alla battaglia della Beresina che fu fatale a Napoleone e alla sua armata, non è certo un complimento. François Bayrou ha cominciato male, con l’idea di andare a presiedere il consiglio comunale della sua Pau, la città nei Pirenei, invece di volare a Mayotte, l’arcipelago francese nell’Oceano indiano devastato dal ciclone Chido.
È proseguita peggio, perché il neo premier ha insistito con l’idea di voler restare sindaco e primo ministro, liquidando quella che da qualche anno è una battaglia contro la «casta» di politici che sommano incarichi. E infine c’è stata la clamorosa gaffe davanti al parlamento quando Bayrou ha provato a dire che non poteva andare a Mayotte perché stava già partendo Emmanuel Macron. «Non è il caso che primo ministro e capo dello Stato siano nello stesso momento fuori dal territorio nazionale» ha spiegato, dimenticando per un attimo che Mayotte è francese, seppure a ottomila chilometri da Parigi.
Una falsa partenza per Bayrou che pure ha fortemente voluto la nomina a premier, tanto da imporsi a Macron in un raro braccio di ferro all’Eliseo.
(...) Alla fine, non avendo la garanzia sulla non sfiducia da parte del partito socialista, il premier ha dovuto coprirsi sui deputati dell’estrema destra, tenendo conto dei veti di Le Pen.
Con un Parlamento paralizzato da tre blocchi antagonisti, il leader centrista è apparso a dicembre, nel mezzo di una crisi politica inedita e inaspettata, come il navigato uomo di stampo democristiano forse capace di tessere sofisticati accordi di desistenza. La sua esperienza quarantennale in politica lasciava presagire un ritorno alle sofisticazioni del «vecchio mondo», quello di una politica più paludata ma più resiliente, che il giovane presidente Macron prometteva di archiviare con la sua elezione sette anni fa.
È ancora presto per dire se le prime gaffe e polemiche siano solo un incidente di percorso nell’obiettivo di scalare «l’Himalaya», come Bayrou ha definito la difficile missione che ha davanti. Di sicuro, Bayrou non ha avuto neppure un accenno di luna di miele con i francesi. Un sondaggio Ifop registra il 66 per cento di pareri sfavorevoli, record di impopolarità rispetto ai suoi ultimi predecessori.
Quando è stato nominato a settembre Michel Barnier era al 55 per cento di insoddisfatti, mentre i due premier prima dello scioglimento del parlamento - Gabriel Attal e Elisabeth Borne - erano al 46 e al 43 per cento. Intanto, la durata dei governi si è clamorosamente accorciata nell’ultimo anno. Barnier ha tenuto tre mesi, record negativo nella Quinta Repubblica. Il nuovo premier deve sperare di non battere un nuovo primato.
FRANCIA, BAYROU VARA IL GOVERNO CON MOLTI EX ILLUSTRI
Anais Ginori per la Repubblica - Estratti
francois bayrou emmanuel macron
La Francia ha un nuovo governo, il quarto in un anno. Dieci giorni dopo l’incarico conferito da Emmanuel Macron al centrista François Bayrou e tre settimane dopo la caduta del governo di Michel Barnier, è arrivato il rituale annuncio all’Eliseo della compagine di trentacinque nomi tra ministri e sottosegretari.
Tra riconferme e novità, il dato politico del governo Bayrou è la mancata apertura al partito socialista. Il neopremier chiama nell’esecutivo l’ex premier Manuel Valls, nuovo ministro per i territori d’Oltremare, con la priorità di ricostruire Mayotte, l’arcipelago devastato da un ciclone nell’Oceano indiano. Valls, dopo una breve parentesi nella politica in Spagna, torna al potere a Parigi ma da anni fuori dal Ps ed è una figura divisiva nell’elettorato della gauche.
Anche l’altra “presa” di Bayrou rivendicata a sinistra, la nomina a ministro di François Rebsamen, non cambia gli equilibri. Rebsamen ha lasciato i socialisti quando si è unito a Macron due anni fa. Un altro ritorno che fa polemica nella gauche è quello dell’ex premier Elisabeth Borne, che ha varato la controversa riforma delle pensioni imponendola senza voto del parlamento. Borne diventa numero due del governo, responsabile dell’Istruzione.
Bayrou ha tentato invano di portare al governo Raphaël Glucksmann, leader di Place Publique che ha guidato la lista di sinistra alle europee. Glucksmann ha declinato in assenza di un «accordo politico» su alcune priorità. Senza trovare nessuna sponda a sinistra, il nuovo governo assomiglia molto negli equilibri a quello di Michel Barnier, con una maggioranza di esponenti del centro e della destra. Il partito dei Républicains ottiene vari dicasteri, tra cui la riconferma di Bruno Retailleau all’Interno e di Rachida Dati alla Cultura.
Ma si apre un caso sulla mancata nomina di Xavier Bertrand, popolare governatore della destra in una regione feudo di Marine Le Pen. Bayrou aveva proposto a Bertrand la Giustizia, prima di ripensarci. La leader del Rassemblement National, in attesa della sentenza nel suo processo per l’uso di fondi europei, aveva fatto sapere di non gradire. Bayrou ha provato a proporre altri dicasteri a Bertrand. «Non entro in un governo che ha l’avallo dell’estrema destra», ha commentato il governatore della destra. Alla Giustizia arriva invece Gérald Darmanin, già ministro dell’Interno, e che si era detto preoccupato per la minaccia di ineleggibilità che pesa su Le Pen.
«Non è un governo, è una provocazione», commenta il segretario del Ps, Olivier Faure. «È la destra al potere sotto la sorveglianza dell’estrema destra», ha aggiunto. Il leader di Rn, Jordan Bardella, parla di «coalizione degli sconfitti». Bayrou intanto ha smentito ieri sera qualsiasi trattativa con Le Pen. Il neopremier non ha cambiato ministri di peso come Sébastien Lecornu alla Difesa e Jean-Noël Barrot agli Esteri. Nel decisivo dicastero dell’Economia arriva Eric Lombard, attuale presidente della Cassa depositi e prestiti nonché ex numero uno di Generali France. La scelta di un tecnico per il ministero è un modo di provare a rassicurare Bruxelles e i mercati finanziari in un momento in cui la Francia non ha una legge di Bilancio per il 2025.
(...) Sulla carta, il premier non è riuscito ad allargare la base parlamentare rispetto a quella del precedente governo. Bayrou è atteso il 14 gennaio per il suo discorso di politica generale davanti ai deputati. La France Insoumise ha già promesso una mozione di sfiducia immediata. «Bayrou cadrà a gennaio», ha profetizzato Mélenchon. L’ipotesi che socialisti, Verdi e comunisti non seguano più Mélenchon nel voto sembra ormai sfumata ieri nei commenti dei vari leader del Nuovo fronte popolare, tutti contrari al nuovo governo.
L’arbitro quindi rimane Le Pen, con i suoi 140 deputati che, se sommati alla gauche, possono far cadere il governo. La leader di estrema destra gioca su una ambiguità strategica. Al momento non minaccia la sfiducia ma – come ha scoperto Barnier – è capace di cambiare idea molto rapidamente.
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