
DAGOREPORT - DIRE CHE SERGIO MATTARELLA SIA IRRITATO, È UN EUFEMISMO. E QUESTA VOLTA NON È…
Vittorio Feltri per “Libero Quotidiano”
Non ci siamo mai illusi negli ultimi 60 anni che la politica risolvesse i problemi della gente, per il semplice fatto che li ignora e non si preoccupa neanche di capire quali siano. Deputati e senatori pensano solo alla propria sopravvivenza, al modo migliore per assicurarsi i privilegi garantiti ai poltronisti. Tutto ciò è molto umano, e ci induce a supporre che la maggioranza e l'opposizione siano unite indissolubilmente da un obiettivo comune: durare il più a lungo possibile.
Chi medita di mandare a casa Matteo Renzi e di provocare lo scioglimento anticipato delle Camere, nonché immediate elezioni, dimostra una ingenuità disarmante. Si voterà nel 2018 perché (e mi scuso se sconfino nel qualunquismo) nessuno in Parlamento e dintorni ha interesse a licenziarsi anzitempo. Siamo pronti a scommettere una cifra la cui entità lasciamo a voi stabilire. Negli ultimi giorni sono successe a Roma cose ai limiti della barzelletta. Le segnaliamo al lettore affinché si renda conto che il suo voto, a qualsiasi partito sia andato, è finito nella latrina.
Una commissione del Senato ha preparato una legge (la notizia è già stata pubblicata nell' indifferenza generale) ad alto tasso alcolico: punire con nove anni di reclusione chiunque diffami un parlamentare o un magistrato. Se invece tu offendi la reputazione di un geometra o di un medico o di un tramviere, chissenefrega: sei assolto, ti danno una pacca sulla spalla e ti raccomandano di non farlo più.
Una norma di questo tipo è chiaramente anticostituzionale, ma i rappresentanti del popolazzo eletti dal medesimo sono talmente meritevoli del posto che occupano da non sapere che, almeno in teoria, ogni cittadino è uguale davanti alla legge. Cosicché non esitano a vergare una regola in cui elevano se stessi e i giudici a intoccabili, mentre considerano qualunque altro italiano un minus habens a cui è lecito dare impunemente dell' idiota. Basta questo episodio a delineare il profilo culturale e morale di molti senatori (intenti a non farsi cancellare dalle riforme presto oggetto di referendum).
Da notare che giace in qualche cassetto di Palazzo Madama o di Montecitorio un' altra legge - in materia di diffamazione a mezzo stampa - che abolisce la galera per i giornalisti, così come è stata abolita nel mondo intero tranne che in Turchia e nei Paesi a forte densità di islamici. Una legge basata sul buon senso e sollecitata dall' Europa, ma inattuata perché lorsignori sono troppo indaffarati a fare altro, cioè nulla.
Da tre anni il citato testo viene discusso e modificato, tirato di qua e di là inutilmente, talché non ha ancora ottenuto il benestare. La contraddizione è evidente. Da una parte si auspica la depenalizzazione del reato di diffamazione, dall' altra si aumenta la pena per il diffamatore delle caste fino a 9 anni di galera. Delle due l'una: o sono scemi coloro che pretendono di non infierire su chi diffama o sono scemi coloro che intendono rifilargli una condanna esemplare, 9 anni di reclusione.
Si tenga presente che Erika e Omar, i fidanzatini che fecero secchi la mamma e il fratello della ragazza, furono condannati rispettivamente a 16 e 14 anni (non del tutto scontati). Dal che si evince che un duplice omicidio sarebbe equiparato - per gravità - al reato bagatellare dello sputtanamento di un cretino titolare di scranno parlamentare o di un togato. Non è il caso di commentare una simile follia.
Chiunque sarebbe abilitato a insultare gli autori della menzionata legge che, qualora fosse inserita nel codice penale, farebbe precipitare l' Italia a livello dell' Arabia Saudita o della Siria o dell' Afghanistan. Ma, tranne alcuni colleghi giornalisti, non c' è stata anima che finora abbia protestato. Aspettiamo di verificare se gli ideatori di questo capolavoro saranno bocciati dalla Corte costituzionale e, naturalmente, dagli elettori, quando sarà consentito a costoro di votare. Saremmo ottimisti se non fossimo realisti.
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