DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Vittorio Feltri per “Libero quotidiano”
Matteo Renzi è un fenomeno politico enigmatico che andrebbe studiato a fondo per essere compreso. L'evoluzione della sua storia è un mistero che a livello giornalistico, non psichiatrico e neppure psicologico, posso soltanto tentare di chiarire. Ci provo scusandomi con i lettori, alla maggioranza dei quali il giovane uomo è cordialmente antipatico, come risulta senza ombra di dubbio dai sondaggi che misurano la forza del suo partitino, Italia Viva.
GIUSEPPE CONTE MATTEO RENZI BY DE MARCO
Gli albori della carriera di Renzi furono folgoranti: presidente della Provincia Toscana e sindaco di Firenze, poi vinse a mani basse le primarie del Pd, di cui divenne segretario e, subito dopo, presidente del Consiglio dei ministri, avendo giubilato Enrico Letta, allora premier abbastanza precario.
MATTEO RENZI ENRICO LETTA MEME
L'avvio folgorante non si interruppe subito. Anzi. Quando si trattò di affrontare le elezioni europee, il signorino riuscì a trascinare ex comunisti ed ex democristiani ad altezze stratosferiche: ottenne il 40 per cento dei voti. Cose da vecchio scudo crociato. Il declino cominciò allorché egli si dedicò alle riforme istituzionali che gli stavano a cuore: la più importante l'abolizione del Senato, finalizzata a cancellare il bicameralismo perfetto, odiato da tutti ma da tutti di fatto difeso.
MATTEO RENZI SINDACO DI FIRENZE
Se aggiungiamo la scelta di Mattarella al vertice del Quirinale, mal digerita da Berlusconi in quanto questi fu escluso da tale decisione, ecco spiegato perché iniziò la crisi del ragazzo fiorentino. Giunsero le beghe e quindi i contrasti violenti all'interno del Pd, finché, non avendo il premier la maggioranza assoluta per far passare le sue profonde riforme, fu costretto a cedere: ossia sottoporre le sue revisioni sagge a referendum. Da qui in poi fu la catastrofe.
Matteo, afflitto dalla sindrome del bullo, ovvero sopravvalutandosi, la sparò grossa: «Se perdo il plebiscito - disse - mi dimetto da Palazzo Chigi». Ai suoi avversari, sempre crescenti, non parve vero di impegnarsi nella campagna del no allo scopo di togliersi dai piedi lo scomodo Matteo. La consultazione referendaria infatti si concluse col trionfo dei no, provocata anche dai suffragi del centrodestra, e Renzi mantenne la parola: abbandonò all'istante Palazzo Chigi, segnando negativamente il proprio destino.
MATTEO RENZI E GIUSEPPE CONTE COME LUKAKU E IBRA
Questa è la cronaca delle vicende. Il seguito è persino peggiore, poiché l'astro nascente del virgulto democratico si è spiaccicato al suolo per qualche anno. La sua vitalità si risvegliò quando il governo Conte fu azzoppato da Salvini, inopinatamente uscito dalla maggioranza gialloverde. Ignoro come Matteo convinse il Pd ad associarsi al M5S per sostenere il Conte due. Il quale durò oltre un anno.
Eppure a Renzi quella strana accozzaglia di partiti nemici non andava a genio, cosicché brigò per eliminarla. E sorprendentemente egli ebbe successo. Fece secco l'avvocato del popolo e spianò la strada a Draghi e alla sua orchestra di pifferai. In pratica tutto quello che è accaduto nella corrente legislatura è dipeso dal capo del piccolo club capitanato dal ragazzaccio toscano.
draghi mattarella renzi partita di poker
Chiamalo scemo. Costui con una gruppetto di disperati è stato capace di condizionare la vita e la guida del Paese. Da ciò si intuisce, piaccia o no, che Renzi è il più abile di tutti nelle manovre di Palazzo e, probabilmente, proprio per questo non è amato né sostenuto dai colleghi e dalle masse. Io prima di buttare a mare un tipo del genere mi assicurerei che sia in grado di nuotare.
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