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Malcom Pagani per "il Fatto Quotidiano"
Appello. Centocinquanta firme. Bertolucci e Bellocchio. Gli attori e i produttori. Mezzo cinema italiano. Toni spuri. Tra il ventennio, l'emergenza democratica e l'affanno di sistema: "Abbiamo salutato con grande entusiasmo la nomina di Müller al Festival di Roma, per questi motivi ci rivolgiamo agli uomini politici e agli amministratori affinché possa essere messo nelle condizioni di garantire lo svolgimento della prossima edizione". Un grammo di Shakespeare, poi, per illustrare il dilemma tra essere, non essere o morire: "Una replica, non richiesta, di âTanto rumore per nulla' sarebbe, a questo punto, insostenibile. E condurrebbe alla morte dell'evento".
Il grido di dolore a favore della manifestazione che nessuno vuole davvero e in molti fanno finta di desiderare è solo il finale, triste e solitario, proiettato sul tramonto della politica culturale di una città gestita come una bocciofila di provincia. C'era una volta, protetto dalle volte di Renzo Piano, il regno cinèphile di Walter Veltroni. Troppo costoso (15 milioni di euro) e vicino all'omologo veneziano. Sprovvisto di un mercato, disertato dai romani, utilizzato per passerelle elettorali tra flash e tappeti rossi. Inutile, in una parola, nonostante gli sforzi anche creativi di qualche selezionatore. Caduto il centrosinistra, in pieno omaggio a un equivoco mecenatismo tradotto in spoil system, era stato il turno di Polverini e Alemanno.
Regione e comune soci fondatori decisi a riprendersi il proscenio, il nome di Müller in vetrina, l'eliminazione fisica delle barriere architettoniche. Defenestrata la precedente direttrice Piera Detassis e atteso il lento scollamento dalla poltrona della bianca sciarpa di Gianluigi Rondi, ultimo giapponese in quota Letta saldamente ancorato alla religione moltiplicatoria degli incarichi (non escluso ovviamente quello di presidente del Festival) sembrava che, pur in ritardo, con la nomina di Müller il più fosse stato fatto. Illusione ottica. Perché pani e pesci si possono evocare, ma le casse non si riempiono con i proclami.
Così mentre Müller (ancora senza contratto) progettava spostamenti di date, tensostrutture davanti al Maxxi, allargamenti a Massenzio e première di Tarantino, nel Cda del Festival (gente sgomenta, esautorata dalle sue prerogative) si aspettava Godot. Invano. L'entusiasmo iniziale di Polverini e quello più trattenuto di Alemanno erano trasmutati in terrore.
Due milioni e mezzo di buco di bilancio. Soldi che rimettere in circolo a un passo dalle elezioni sarebbe stato impopolare. Così la Regione dopo aver tentato di monetizzare maldestramente il colpo d'immagine, si è buttata sul situazionismo. Facendo finta di passare timidamente per caso: "Confortante l'appello pro-Müller" nella velata speranza che l'ammanco venisse coperto dalla Bnl di Abete e dagli sponsor.
Un caos nel caos dove a oggi non è stato neanche approvato lo straccio di un piano di spesa, nonostante il Presidente designato Paolo Ferrari (ex Warner) chiamato a recitare da vaso di coccio si mostri ottimista: "Venerdì sarà approvato il bilancio". Nel lecito dubbio di essersi esposti al ridicolo, i protagonisti hanno deciso di spingere fino in fondo il pedale. Müller con l'appello a suo favore, i cineasti gridando tardivamente "fuori la politica dalle sale", Polverini abbaiando alla luna.
Ieri urlava "O Müller o morte" con il Pd sulle barricate a denunciare il Golpe. Oggi colma il silenzio di imbarazzi mentre la sinistra incensa Müller. Un delirio. Che l'incontro tra il sinologo e l'ex sindacalista dell'Ugl potesse non finire in trionfo era prevedibile. Che il Festival rischiasse il default e Müller carezzasse l'idea di ribaltare il tavolo e andarsene, meno. Ora, mentre il panorama è una distesa di veti e ricatti incrociati e Cannes e Berlino ridono, gli sviluppi restano imprevedibili .
Polverini e Alemanno vorrebbero fuggire, ma non possono. Müller che saprebbe come fare non dimentica Venezia, la rimpiange e maledice abbracci anticipati e improvvide interviste natalizie. I romani hanno altri problemi, ma si stavano affezionando allo show dentro lo show. Da domani, con lo schermo vuoto, potrebbero ricorrere a Flaiano. "Coraggio, il meglio è passato".
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