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FLASH! - OGNI GIORNO, UNA TRUMPATA: NON SI SONO ANCORA SPENTE LE POLEMICHE SULL'IDEA DI COMPRARSI…
1.FUNERAL PARTY
Marco Travaglio per “Il Fatto Quotidiano”
SILVIA TRUZZI E MARCO TRAVAGLIO
Il Paese di Tartuffe, che non è la Francia seicentesca di Molière ma l’Italia del 2015, s’indigna per il Funeral Party al fu Vittorio Casamonica e lo chiama “boss” anche se non ha condanne per mafia, anzi ha una fedina penale decisamente più immacolata di quella del 10 per cento dei parlamentari italiani (per non parlare degli eurodeputati e dei consiglieri regionali e di un bel po’ di governatori).
Il che, intendiamoci, va benissimo: neppure Al Capone ebbe condanne per mafia, solo una per evasione fiscale, però chiamarlo “evasore”pare un po’ riduttivo. È una caratteristica dei boss scampare alle condanne, e spesso anche agli arresti. Ma allora perché Casamonica è “boss” anche con una condanna a un anno per truffa nell’acquisto di una Ferrari, e – per dire – i mafiosi amici e soci dell’allora presidente del Senato Renato Schifani non sono boss perché furono condannati soltanto più tardi?
Il Paese di Tartuffe s’indigna per il Funeral Party a Casamonica ora che è chiuso in una bara, ma quand’era vivo e regnava su Roma da una villa arredata da Cetto La Qualunque e cantava My Way al compleanno in un grammelot inglese degno di Fo e Proietti, i partiti di destra si scordavano le sue origini rom e prendevano volentieri i suoi voti per il Comune.
Il Paese di Tartuffe s’indigna per il Funeral Party al Casamonica morto, ma ha prontamente dimenticato le foto ricordo del rampollo Luciano con la felpa azzurra “Italia” nel 2010 a cena col futuro ministro Pd Giuliano Poletti, il sindaco Pdl Gianni Alemanno e una bella galleria di futuri ospiti delle patrie galere. Il Paese di Tartuffe si vergogna perché le immagini del Funeral Party a Casamonica fanno il giro del mondo, ma ha già dimenticato quando B. definì nella campagna elettorale 2008 il boss Vittorio Mangano “un eroe” perché non aveva parlato di lui né di Marcello Dell’Utri.
funerali vittorio casamonica 4
Dopodiché rivinse le elezioni e tornò al governo per tre anni, poi fu richiamato in servizio da Napolitano nel 2013 per le larghe intese con Letta e nel 2014 da Renzi per il Patto del Nazareno in veste di padre costituente.
Il Paese di Tartuffe s’indigna per il Funeral Partyal presunto boss Casamonica, ma non dice una parola sul sicuro mafioso Dell’Utri che, dopo la fuga in Libano, risiede da 14 mesi nel carcere di Parma a poche celle di distanza da Riina, per scontarvi una condanna definitiva a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
DELL UTRI DELLUTRI CON L AVVOCATO MASSIMO KROGH
Motivo: aver propiziato nel 1974 “un patto” tra “Berlusconi, Cinà, Bontade e Teresi (gli ultimi tre sono boss mafiosi, ndr) in base al quale l’imprenditore milanese avrebbe effettuato il pagamento di somme di denaro a Cosa Nostra per ricevere in cambio protezione”; e “in virtù del patto i contraenti (Cosa Nostra da una parte e Berlusconi dall’altra) e il mediatore contrattuale (Dell’Utri), legati tra loro da rapporti personali, hanno conseguito un risultato concreto e tangibile, costituito dalla garanzia della protezione personale dell’imprenditore mediante l’esborso di somme di denaro che Berlusconi ha versato a Cosa Nostra tramite Dell’Utri che, mediando i termini dell’accordo, ha consentito che l’associazione mafiosa rafforzasse e consolidasse il proprio potere sul territorio”.
Il tutto “ne ll’arco di un ventennio”. Poi Dell’Utri creò Forza Italia, di cui fu 4 volte parlamentare e 2 eurodeputato. Il Paese di Tartuffe se la prende col parroco che ha celebrato il Funeral Party, con i vigili che hanno scortato il feretro, con le autorità che non hanno vietato l’immondo show e addirittura con l’elicotterista che ha sganciato petali di fiori sul corteo funebre (ecco: è lui il colpevole di tutto), ma non fece una piega quando il presidente della Repubblica Napolitano, il presidente del Senato Grasso e il presidente del Consiglio Letta –prima, seconda e quarta carica dello Stato – omaggiarono la salma di Giulio Andreotti, di cui la Cassazione aveva detto molto peggio che di Casamonica: cioè che era stato mafioso fino al 1980, “reato commesso” ma prescritto.
Il Paese di Tartuffe si scandalizzò quando scoprì che Renatino De Pedis, boss e killer della Magliana, era sepolto nella basilica vaticana di Sant’Apollinare, ma sorvolò sui rapporti con la Banda intrattenuti dal clan Andreotti ed ereditati da decine di politici e funzionari di ogni colore fino al blitz di Mafia Capitale. Il Paese di Tartuffe non alza un sopracciglio se il Ros arresta Riina ma non perquisisce il suo covo, poi fa scappare Bagarella a Terme di Vigliatore, poi fa fuggire pure Provenzano a Mezzojuso, e per premio il generale Mario Mori e il capitano Ultimo vengono promossi; poi Ultimo, al comando del Noe, fa indagini delicatissime su Bisignani, il tesoro della Lega, il generale Adinolfi, Finmeccanica, i rapporti coop rosse-camorra, e viene subito rimosso senza che nessuno faccia un plissè.
Il Paese di Tartuffe si domanda cosa c’è dietro le complicità di politici e forze dell’ordine con i Casamonica, ma se ne infischia allegramente di quelle di politici e forze dell’ordine con Cosa Nostra che, dopo le stragi del 1992-'93, ottenne dallo Stato non un funerale kitsch, ma quasi tutto quel che chiedeva (dalla revoca di centinaia di 41-bis allo smantellamento della legislazione antimafia), dopo una regolare trattativa condotta dal Ros e dai politici retrostanti, oggi imputati nel silenzio generale davanti a magistrati condannati a morte nell’indifferenza generale.
Il Paese di Tartuffe combatte i boss da morti e i magistrati da vivi.
2. FUNERALI ZINGARI A CAVALLO, EMBÈ?
Giuliano Ferrara per “Il Foglio”
A volte la stupidità, specie se al servizio della menzogna, esplode in modo feroce. Stanno cercando di convincerci, e da novembre se ne vedranno delle belle al processo contro Carminati e Buzzi, che a Roma tutto è in mano a una mafia la cui cupola veniva intercettata, mentre chiacchierava à la Tolkien di terre di mezzo e altre cazzate, su una panchina di un distributore di benzina di Vigna Clara, quartierino di Roma nord per affluenti e fighetta, cercando accordi e patti per locupletare di mazzette personale municipale corrotto in ordine a raccomandazioni, assunzioni, appaltini di una rete di cooperative umanitarie fino a ieri molto prestigiose e molto solidali.
jas gawronski e giuliano ferrara
Ora i media e i politici di serie B che si occupano della faccenda, sulla scorta di una magistratura che li guida passo passo e li nutre di rivelazioni continue, perfino annunciando retate e arresti a un convegno romano del Partito democratico, stanno inscenando una chiassata balorda sui funerali kitschglamour di un capofamiglia Sinti, Vittorio Casamonica, immigrato in Italia negli anni Settanta, e installato con i suoi cari nella zona orientale della Capitale, dove si è radicata una rete di esattori di crediti (usura) e altre bellurie paracriminali certo non commendevoli, roba da cravattari di grido, magari fiancheggiando qualche boss della compianta banda della Magliana, ma che la mafia non c’entri un tubo sono proprio i funerali zingari a dimostrarlo.
Premessa. Ognuno seppellisce i suoi familiari e amici come gli pare. E ai defunti tutti va portato il rispetto che magari non hanno legalmente meritato da vivi. Quando Veltroni sindaco, rivelando un bel vizio di forma della cultura fanatico-legalista della sinistra manettara, organizzò e plaudì al trasferimento della salma di un boss della Magliana, Enrico De Pedis, che i preti avevano ricoverato, parlo della salma, nella chiesa di Sant’Apollinare, noi da soli protestammo: il maltrattamento dei morti non fa onore ai vivi.
E non c’è abisso retorico di legalismo che tenga: se il cristiano De Pedis aveva donato soldi e patrimonio alla chiesa e l’uso della chiesa prevede di considerare donazioni e pentimenti come viatico per una sepoltura onorevole anche di un boss pentito, lo scandalo non è lì ma nella pretesa dello stato di imporre una riesumazione e un trasloco evidentemente grottesco trent’anni dopo la morte del reo, una roba da inquisizione spagnola.
Ora anche Orfini, la Bindi, destra e sinistra, fanno a gara nell’estorcerci indignazione per un carro funebre trainato da sei cavalli scuri, per un manifesto in cui il defunto è vestito alla papalina e si staglia contro un’immagine del Colosseo, per una Rolls Royce che ai matrimoni e ai funerali fa status, per un elicottero che lancia rose e altri elementi da Cinecittà sul Tevere o da centurioni abbindolaturisti vaganti dalle parti di piazza Venezia e ai Fori Imperiali.
Tutti ma proprio tutti, compreso il solito don Ciotti che la solidarietà imprenditoriale la pratica in prima persona ed evidentemente non ama la concorrenza, hanno denunciato con toni tenorili le responsabilità dello stato (il prefetto Gabrielli si è detto preso alla sprovvista) e della diocesi di Roma (il parroco ha detto che non ne sapeva niente) per la messa in scena, tipicamente Sinti, di uno sfarzo e di un lusso funerario che fanno rivoltare nella tomba tutti i boss veri della mafia vera, i quali amano omaggi e saluti estremi popolari e cattolici, ma non precisamente di quella fatta.
E’ pazzesco leggere certi commenti, certe cronache, certe dichiarazioni. Sembra che i Casamonica non possano seppellire come gli pare il loro capostipite. E’ una sfida allo stato, alla dignità della legge, alla purezza della chiesa. A me questo stato di sospensione della realtà, questo incubo a occhi aperti chiamato Mafia Capitale, come fosse un dipartimento del municipio, sembra la dimostrazione di una comunità, togati giornalisti e politici, che ha perso letteralmente il ben dell’intelletto.
Penso che legge e ordine vadano fatti rispettare, in particolare quando si tratti di azioni di viventi, ma senza sceneggiare l’indignazione anticrimine creando dei “romanzi criminali” che sollecitano l’immaginazione più pigra e servono l’interesse di una casta di rispettabili, non della società liberale. Ma sicuramente mi sbaglio.
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