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Alberto Mattioli per La Stampa
Alla fine, tutto lo psicodramma francese per il downgrade della nota nazionale da AAA a AA+ da parte di Standard & Poor's mostra per l'ennesima volta quanto l'economia sia più avanti della politica. La retrocessione della Francia i mercati l'avevano già prevista e scontata da tempo e infatti venerdì, mentre filtravano dall'America le prime voci, la Borsa di Parigi ha mantenuto il sangue freddo, chiudendo a meno 0,11%. Bazzecole.
La notizia è tutta politica. Soprattutto perché è arrivata, guarda caso, a cento giorni dal primo turno delle Presidenziali (e, riguarda caso, un venerdì 13: ma nel Paese di Cartesio nessuno l'ha notato). Per Nicolas Sarkozy, che della salvezza della tripla A aveva fatto una bandiera, il colpo è duro. Se le opposizioni gongolano, non possono farlo troppo vedere. La disgrazia presidenziale è anche quella del Paese, quindi esultare sarebbe sconveniente.
L'esercizio di equilibrismo è riuscito piuttosto bene allo sfidante socialista François Hollande, che ieri ha convocato i giornalisti per far sapere che «Sarkozy ha perduto la sua battaglia», ma «è stata retrocessa una politica, non la Francia». Poi ha elegantemente eluso le domande sulla possibilità che, una volta diventato Presidente lui, la AAA sì bella perduta si possa recuperare. E soprattutto su come farlo. La morale, dice Hollande, è che «non siamo più in prima divisione»: e finire in serie B, per la psiche dei francesi, è molto più grave di tre Waterloo. Quelli di «Libération», che detestano Sarkò, si sono divertiti con il titolone di prima pagina: «S RKOZY», così, senza la «A».
Già , Sarkozy. Il Presidente tace. Grazie al cielo ieri era sabato, senza impegni ufficiali in agenda. Le solite gole profonde dell'Eliseo raccontano che sia nero e che chiedergli lumi sulla tripla A sia rischioso come andare da Napoleone a domandargli se davvero in Russia in inverno fa così freddo. Ma l'uomo è un combattente ed è certo che contrattaccherà .
Intanto, conformemente alla regola-base della Quinta Repubblica che le buone notizie le dà il Presidente e quelle cattive le commenta il primo ministro, è toccata a François Fillon la conferenza stampa funebre. L'arringa difensiva è quella prevista: il governo non ha colpe, la retrocessione è principalmente legata «alla situazione della zona euro», di una nuova stangata non c'è bisogno, il deficit sarà ridotto al 3% nel â13, eccetera. Però sulla manovra si faranno aggiustamenti, «se necessari». Poi Fillon ha ripetuto il solito mantra, il dogma, in generale molto francese e in particolare molto gollista, della superiorità della politica sull'economia: «La Francia non si farà dettare l'agenda dalle agenzie».
In teoria. In pratica, gli ultimi tre mesi di presidenza saranno quelli di un Sarkò più debole, «fragilisé». A cominciare dal summit con le parti sociali sul lavoro (con la disoccupazione che si sta per sfondare il muro psicologico del 10%) di mercoledì prossimo, dal quale, è chiaro, adesso sarà più difficile far saltar fuori qualche proposta costruttiva, perché di soldi per stimolare la crescita proprio non ce ne sono.
Poi c'è il guaio tedesco. La retrocessione è resa molto più amara in Francia dal fatto che non sia toccata anche alla Germania. Tutti sapevano che quello fra Parigi e Berlino non è un matrimonio fra uguali, se non altro perché la disoccupazione è al 9,8% da questa parte del Reno e al 7,1 dall'altra e qui si esporta per 390 miliardi di euro e là per 976. Ma adesso il divario è ufficiale, assodato, certificato. Formalmente, non cambia nulla. Psicologicamente, ancor più di prima Frau Merkel ha diritto all'ultima parola.
Sarà interessante seguire la coppia di fatto dei Merkozy nelle prossime uscite internazionali, la prima delle quali, guarda un po', è fissata per venerdì a Roma. Che la retrocessione sia arrivata insieme a quelle di Italia, Spagna e Portogallo, a Parigi non è considerata un'attenuante. Semmai, un'aggravante. Fra i Paesi già sprezzantemente definiti «del Club Med», stavolta, c'è anche la Francia.
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