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Ilario Lombardo e Alberto Mattioli per “la Stampa”
Il problema principale, adesso, è che vogliono entrambi la stessa presidenza: quella della Camera. Poi, certo, tutti e due precisano che hanno parlato solo di questo, non del governo. Ma è chiaro che quella delle presidenze è la prima, cruciale tappa per capire se un governo ci sarà. La telefonata di Matteo Salvini a Luigi Di Maio è arrivata alle 20,15 di ieri, dopo che il leader della Lega aveva già spianato la strada a una possibile alleanza. E ha cementato la convinzione che un patto di tendenza sovranista è più che possibile. Ormai è probabile. Serviranno diversi incontri, per ora non ancora fissati. Ma quanto filtra è indicativo.
I due leader, che si parlavano direttamente per la prima volta, su un punto concordano: «Abbiamo i numeri per fare una legge elettorale tra noi due e tornare al voto quando vogliamo». Sia Salvini sia Di Maio sanno che i loro sono gli unici partiti non atterriti dall'ipotesi delle urne.
Il che darebbe ragione ai timori espressi da Dario Franceschini, che sta provando in tutti i modi a spostare i partiti verso un governo costituente, per cambiare la legge elettorale e lasciare una sola Camera. I 5 Stelle per ora non vogliono pensare a questa prospettiva che pure, lo sanno, farebbe piacere a Sergio Mattarella. Meglio, anche per spaventare i dem, andare a vedere le carte di Salvini, «e vediamo come reagisce il Pd».
«Questi fanno la legge e torniamo a votare tra luglio e ottobre» ha detto Franceschini ad alcuni colleghi. È così? Sicuramente la legge elettorale con la Lega è il piano B di Di Maio. La paura dei grillini semmai è un'altra, che Salvini chieda l'unica cosa che il M5S non è disposto a concedere: un passo indietro di Di Maio.
«Se io sono disposto a non fare il premier, la stessa cosa deve dire lui». È una condizione ancora indigeribile per i 5 Stelle, disposti invece a mettere mano al programma e firmare il famoso «contratto alla tedesca» che chiedeva Di Maio. L'asse avrebbe anche la benedizione di Beppe Grillo, stufo dei tentennamenti del Pd e pronto a una politica di adattamento con i leghisti. E intanto oggi partiranno le consultazioni dei due capogruppo grillini, Giulia Grillo e Danilo Toninelli.
Vista da parte leghista, la soluzione preferita resta sempre un Salvini I di centrodestra che va in Aula a chiedere i voti che mancano. L'ipotesi però appare sempre più improbabile, e Salvini sa che il suo nome è il meno adatto per mettere insieme una maggioranza. E allora via con il piano di riserva, ammiccare ai grillini: se son governi fioriranno («È l' ultima ratio prima di nuove elezioni», spiega uno stratega leghista con uso di latino), ma nel frattempo si mette paura a Fi.
luigi di maio sergio mattarella
L' accordo sulla spartizione delle presidenze sarebbe già fatto se, come si diceva, non ci fosse una poltrona per due, quella della Camera. «Ho ricordato a Salvini che il M5S è la prima forza politica del Paese, con il 32% dei voti e il 36% dei deputati», dice Di Maio. Ma Salvini vedrebbe bene a Montecitorio uno dei suoi fedelissimi, qualcuno di più vicino a lui che Roberto Calderoli, l' unico leghista papabile per Palazzo Madama.
Magari non Giancarlo Giorgetti, indispensabile come futuro ministro, probabilmente dell' Economia, ma Massimiliano Fedriga, già capogruppo alla Camera che è considerato, guarda caso, il leghista in migliori rapporti con i grillini. E, ri-guarda caso, i leghisti fanno sapere che una «priorità» è «tagliare vitalizi e spese inutili», musica per le orecchie pentastellate. Chi non crede assolutamente a un governo Lega-M5S è Romano Prodi. Il Professore lo confida a un amico: «Berlusconi non lo consentirà a nessuna condizione».
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