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DAGOREPORT - SERVIZI E SERVIZIETTI: IL CASO ALMASRI E' UN “ATTACCO POLITICO” ALLA TRUMPIANA MELONI?…
Mattia Ferraresi per "Il Foglio"
Karl Rove, lo stratega repubblicano, ha levigato le parti più abrasive delle sue illazioni sulla salute di Hillary Clinton dopo la famosa caduta con trauma cranico del dicembre 2012. Ora dice che "certamente Hillary non ha danni cerebrali, ma questo è un episodio molto serio, non sarebbe umana se questo non entrasse nei suoi calcoli", un passo indietro rispetto alle maliziose domande formulate pubblicamente e riportate alcuni giorni fa dal New York Post: "Trenta giorni in ospedale? E quando riappare pubblicamente porta occhiali fatti apposta per chi ha avuto danni cerebrali da trauma? Dobbiamo sapere cos'è successo".
I portavoce di Hillary hanno smentito duramente ("Rove ha ingannato il paese per anni, ma non ci sono parole per commentare bugie del genere") e l'intera macchina dei Clinton, in pieno fermento preelettorale e pronta a cavalcare il suo libro di memorie di prossima uscita, ha castigato all'unisono l'ex architetto di George Bush, a partire da Bill, il quale invece di minimizzare l'accaduto ha spiegato che la moglie ha preso molto seriamente l'incidente: "Ci sono voluti sei mesi di lavoro serio per superare il problema, non ha mai fatto finta che nulla fosse successo".
Allora, ai tempi della caduta, i repubblicani sfottevano il segretario di stato, dicevano che era stata colpita dalla "febbre di Bengasi", perché ancora il capo della diplomazia non aveva dato risposte sull'attacco all'ambasciata americana in Libia in cui sono morti quattro americani, fra cui l'ambasciatore Chris Stevens.
Ora il dossier Bengasi è ritornato alla luce - per la verità non è mai scomparso del tutto dal dibattito - con la creazione di una speciale commissione d'inchiesta, e con il caso torna fuori anche la caduta di Hillary, tornano fuori gli occhiali con lenti spesse e trama a righe, per correggere i danni temporanei alla vista dopo un trauma, torna fuori insomma la presunta inadeguatezza del segretario di stato, allora accusata di fingere o esagerare il problema per sottrarsi alle domande scottanti sulla Libia, oggi di nascondere la vera entità del problema medico per poter correre senza ostacoli verso la presidenza.
Esiste, in America, una strana forma di fascinazione per quella zona grigia dove l'infermità incontra il potere. La buona salute è condizione necessaria per esercitare le funzioni pubbliche, il presidente deve disporre di corpo e mente in ordine per poter maneggiare il bottone rosso, per questo i candidati ai pubblici uffici si sottopongono a visite mediche approfondite, come fossero atleti in procinto di cambiare squadra.
Dick Cheney ha dovuto usare tutti i mezzi che aveva a disposizione per convincere Bush che un altro cardiologo, oltre a quello personale, aveva dato parere positivo sulle sue condizioni durante il processo di selezione del candidato vicepresidente (processo peraltro guidato da Cheney).
Per decenni si è parlato dell'Alzheimer di Ronald Reagan, ufficialmente diagnosticato nel 1994 ma che, secondo il figlio minore del presidente, Ron - che al padre ha dato un dispiacere incolmabile diventando in un colpo solo ateo e di sinistra - era già ampiamente manifesto durante gli anni della presidenza, addirittura durante la campagna per la rielezione, dove Reagan aveva "momenti di confusione". Ron racconta anche di una caduta da cavallo del padre che gli costò un'operazione alla testa all'ospedale di San Diego nel 1989.
LINCOLN DEPRESSO, JOHNSON BIPOLARE
Dell'incidente non c'è traccia ufficiale, ma la suggestione è rimasta nell'aria, per via di quel timore recondito di dare le chiavi del mondo libero a chi non è presente a se stesso. Lo psichiatra Nassir Ghaemi è arrivato a sostenere che lo squilibrio mentale e la malattia in realtà sono un toccasana per la leadership. In fondo l'America ha tratto parecchi benefici dal depresso Lincoln, dal paralitico Roosevelt e dal bipolare Lyndon Johnson.
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