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Giovanni bianconi per il Corriere della Sera
I pugni chiusi. La bandiera rossa, con falce, martello e stella. E uno stendardo: «La rivoluzione è un fiore che non muore». Un funerale dell'altro secolo. Comunista e nostalgico, anche se richiamava una storia di morti, sequestri, agguati. La storia del terrorismo, degli «anni di piombo», celebrata dalla parte dei colpevoli. L'ultimo saluto al brigatista rosso Prospero Gallinari, uno dei carcerieri di Aldo Moro, morto d'infarto il 14 gennaio e sepolto ieri nel cimitero di Coviolo, Reggio Emilia, dove era nato e vissuto.
Una bara coperta di fiori, rossi. E una bandiera rossa, con falce, martello e stella. Una sciarpa con i colori della Palestina. E uno stendardo: «La rivoluzione è un fiore che non muore». In mezzo alla neve, i pugni chiusi, l'Internazionale intonata da pochi. Quasi un atto dovuto, più di appartenenza che liberatorio.
Un funerale dell'altro secolo. Comunista e nostalgico, anche se richiamava una storia di morti ammazzati, sequestri, ferimenti, agguati. La storia del terrorismo, degli «anni di piombo», celebrata dalla parte dei colpevoli.
Si sono radunati in qualche centinaio, forse un migliaio, per salutare il brigatista rosso Prospero Gallinari, uno dei carcerieri di Aldo Moro, morto d'infarto il 14 gennaio e sepolto ieri nel piccolo cimitero di Coviolo, alle porte di Reggio Emilia, la città dov'era nato e vissuto tra ricordi di vecchi partigiani ed evocazioni continue della «Resistenza tradita», prima di partire per la lotta armata nelle metropoli. Di entrare in clandestinità , partecipare a omicidi, rapine e altri «assalti proletari». Fino alla strage di via Fani, cinque agenti di scorta uccisi per rapire Moro, tenuto sequestrato per 55 giorni e restituito cadavere.
E poi l'arresto, il carcere, la liberazione per malattia, un lavoro scandito da orari e prescrizioni.
A portare la bara di Gallinari, ieri, c'erano altri due ex br che quella mattina di 35 anni fa, 16 marzo 1978, spararono insieme con lui contro i poliziotti e i carabinieri sterminati per prelevare l'ostaggio: Raffaele Fiore e Bruno Seghetti. E un altro che, nove anni dopo, detenuto assieme a lui, con lui tentò di scappare dalla prigione scavando un tunnel sotterraneo: Francesco Piccioni.
Più indietro altri ancora che parteciparono al sequestro Moro, come Barbara Balzerani, e ad altre «azioni». Il reggiano Tonino Paroli, brigatista della prima ora e dei primi arresti, che in carcere ha cominciato a dipingere quadri e continua ancora oggi. Vecchi mescolati a giovani che con quella stagione non c'entrano ma sembrano volerla accarezzare. Nella piccola folla, un migliaio di persone, c'è Renato Curcio, con i capelli radi e nessuna traccia della barba che riempiva i telegiornali in bianco e nero, emblema di una dichiarazione di guerra.
E altri militanti di un periodo di violenza politica che non ha avuto eguali nell'Europa democratica: per intensità , numero delle vittime provocate e conseguenze istituzionali, accompagnate dalle stragi, dall'eversione nera e dai depistaggi.
In prima fila l'ex leader di Potere operaio Oreste Scalzone, che attacca l'Internazionale con il fischio, seguito dalla compagna di Gallinari e da altri. C'è chi è venuto per salutare l'amico, chi per tornare a sventolare l'idea «che non muore», chi da quell'idea s'è distaccato ma era rimasto affezionato a uno che si mostrava coerente, anche nelle scelte più tardi giudicate sbagliate e mai rinnegate.
Più tardi, però. Dopo tanti morti, e tanta galera. Gli ex br andati all'ultimo saluto ora sono liberi, ergastolani a cui lo Stato che volevano abbattere ha concesso di tornare a vivere e salire su una collina emiliana, un pomeriggio d'inverno, a rivendicare un pezzo di storia. Buia e violenta, che ha spezzato centinaia di vite. Seghetti si commuove e alla fine singhiozza «Onore a Prospero Gallinari».
Parte qualche slogan: «Prospero è vivo e lotta insieme a noi/ le nostre idee non moriranno mai», «Il proletariato non ha nazione/ internazionalismo/ rivoluzione». Un'eco lontana degli anni Settanta, applausi, ancora pugni chiusi. Sulla Rete, i messaggi inviati via Twitter sotto le insegne #ciaoProspero e #ciaoGallo s'ingolfano in celebrazioni ed esaltazioni che paiono dimenticare non solo Aldo Moro ma tutte le vittime di Aldo Moro.
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