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Michele Anselmi per "il Secolo XIX"
Tutti, o quasi, contro Giulio Malgara presidente della Biennale al posto di Paolo Baratta. Naturalmente il ministro Giancarlo Galan, nel designare l'amico pubblicitario esperto in Auditel, cibi per gatti e acque minerali, si aspettava un'alzata di scudi da parte del centrosinistra. Non aveva ben calibrato invece il fuoco amico, che non viene solo dalla Lega ma anche da ambienti dello stesso Pdl.
Risultato? Nelle prossime settimane il presidente in pectore finirà dritto sulla graticola. Sia nelle commissioni Cultura di Camera e Senato, dove i parlamentari leghisti potrebbero votare contro o astenersi favorendo così la minoranza; sia in Veneto, dove Regione, Provincia e Comune, le prime due di centrodestra e l'altro di centrosinistra, sono pronti a dare battaglia. Tre contro due nel cda. Una navigazione piuttosto ardua per l'uomo caro a Berlusconi.
Magari alla fine il ministro la sfangherà imponendo ad ogni costo il suo candidato. Però anche al Collegio Romano, sede dei Beni culturali, c'è chi comincia a pensare che «se lasciato da solo, Galan tende a sbroccare».
Troppe le cantonate prese di recente. La polemica meschinella e ossessiva nei confronti del Festival di Roma, al quale nega anche un contributo minimo di 150 mila euro; la nomina del fidato Rodrigo Cipriani, ex Mediashopping e Buonitalia spa, alla guida di Cinecittà Luce; ora la cacciata di Baratta dalla Biennale, nonostante gli ottimi risultati raggiunti, anche sul fronte del bilancio, per insediarvi un supermanager 73enne, certo eclettico e temprato alle insidie della politica, ma non più così affidabile, se è vero che le sue società , a partire da Chiari & Forti, chiudono in rosso e mettono in cassa integrazione il personale.
Non bastasse, aver indicato il suo già molto impegnato capo di gabinetto Salvo Nastasi nel ruolo di consigliere di nomina ministeriale è parso un ulteriore strappo decisionista, quasi un modo per mettere sotto tutela la Biennale.
Proprio oggi alle 14 Galan, atteso alla commissione Cultura della Camera per presentare le linee programmatiche del dicastero, misurerà sulla propria pelle l'irritazione bipartisan cresciuta in pochi giorni attorno alla scelta di Malgara. E non potrà cavarsela, stavolta, con una spiritosaggine del tipo: «Mi rendo conto di aver infranto un mito della sinistra. Chissà quanto ne parleranno a Capalbio».
Baratta non è un presidente mondano e chiacchierone, non indossa scarpe bicolori e abiti di alta sartoria come Davide Croff, non sostiene, come fa Malgara, di essere adatto a ricoprire quel ruolo perché va molto al cinema, ha una casa a Venezia e possiede un Mirò, tre Tancredi e tre Schifano.
Vero, il presidente uscente è stato nominato due volte alla Biennale dal centrosinistra, la prima da Veltroni, la seconda da Rutelli; è amico del presidente Napolitano e ha fatto il ministro per Prodi. Tuttavia in pochi credono a Galan quando assicura: «Berlusconi non c'entra nulla. Semplicemente, dopo otto anni di Baratta in Biennale, ho ritenuto fosse giusto cambiare».
Di sicuro lo stile non è acqua. Mentre Malgara rilasciava interviste a raffica invece di tacere per delicatezza istituzionale in attesa della nomina ufficiale, pure annunciando la conferma di Marco Müller al timone della Mostra del cinema, Baratta si negava a ogni ritorsione polemica.
L'unica dichiarazione rilasciata è la seguente: «Colgo l'occasione per aprire una piccola breccia nell'auto-consegna del silenzio. Nei molti articoli di giornale, nei messaggi, sms, telefonate che ricevo emerge un dato: un'intera comunità ha accolto, compreso e approvato il lavoro di questi anni e ha fatto propri i risultati ottenuti. à una grande soddisfazione, e motivo di sincera e profonda gratitudine verso questa comunità ».
In effetti, Baratta esce santificato dal secondo quadriennio a Ca' Giustinian. Non sarà facile per Malgara, mentre autori di cinema, artisti internazionali, intellettuali e docenti universitari si schierano accanto al presidente licenziato, prenderne il posto. Sempre che ci riesca. Già una volta, impallinato dai suoi, dovette rinunciare alla presidenza della Rai.
«Sarebbe auspicabile che, fino al momento del voto nelle commissioni parlamentari, il ministro e soprattutto il candidato presidente Malgara si astenessero dal fare annunci sul futuro della Biennale medesima, non solo per una questione di stile» attacca Giuseppe Giulietti, a nome di Articolo 21.
Poco prima era arrivato l'uppercut del governatore Zaia. Fino ad ora l'esponente leghista non aveva commentato, per dirla col consigliere uscente Amerigo Restucci, «una scelta che offende Venezia». Zaia scandisce: «Malgara non lo conosco, non mi esprimo. Ma sul cambio della guardia alla presidenza della Biennale invito alla prudenza: non facciamo le feste di laurea prima degli esami».
E ancora: «Le commissioni parlamentari sono sovrane, non è vero che il loro giudizio è solo consultivo, perché il valore politico che esprimeranno è altissimo. In quella sede può ancora accadere di tutto». Seguono lodi a Baratta: «Con lui abbiamo lavorato molto bene, ha portato la Biennale a livelli di eccellenza mondiale».
Non bisogna essere esperti in politica per afferrare il messaggio che la Lega spedisce al ministro berlusconiano: ritira la nomina di Malgara o ci vedrai contro in sede parlamentare e locale. Intanto "La Nuova Venezia" lancia in prima pagina un pubblico appello, già sottoscritto tra gli altri dalla coreografa Carolyn Carlson, dove si invita ragionevolmente il ministro a ripensarci. Lo farà ?
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