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Fiorenza Sarzanini per il "Corriere della Sera"
Quando il faccendiere Valter Lavitola fece consegnare a Silvio Berlusconi «tre telefoni con utenze straniere», il premier reagì seccato e disse: «Ma guarda un po', queste cose le fanno i mafiosi». à stato Alfredo Pezzotti, il maggiordomo dello stesso presidente a raccontarlo, confermando però come avesse accettato questo modo di comunicare visto che i due si parlavano proprio su quelle linee.
I nuovi atti dell'inchiesta sul presunto ricatto di Lavitola e dei coniugi Gianpaolo e Nicla Tarantini delineano quanto è accaduto nell'ultimo anno mentre erano in corso gli accertamenti della magistratura barese sul giro di prostitute portate a palazzo Grazioli e ad Arcore.
Rivelano l'esistenza di comunicazioni «coperte» e di lettere riservate che i Tarantini fecero recapitare a Berlusconi per chiedere soldi. Ma svelano pure i rapporti di rivalità tra i personaggi più vicini al premier, come il suo avvocato e parlamentare del Pdl Niccolò Ghedini e Lavitola con quest'ultimo che arrivò a minacciare di «prenderlo a bastonate». E l'esistenza di alcune lettere riservate.
«ERANO APPROFITTATORI»
Il primo settembre scorso viene interrogato Pezzotti che nelle telefonate intercettate appare come uno dei «referenti» dei tre indagati. Lui non nega. «Conosco il Lavitola da circa due anni per il rapporto di frequentazione che lo stesso ha con il presidente Berlusconi. In particolare il Lavitola veniva a trovare ogni tanto il presidente e per quanto ho potuto costatare i rapporti fra loro erano cordiali. Sicuramente Berlusconi dava del tu a Lavitola. Ho conosciuto la moglie di Tarantini con il nome di Nicla.
L'ho vista - mai accompagnata dal marito - una prima volta sette, otto mesi fa. Nicla mi consegnò una lettera in busta chiusa. Mi sono limitato a consegnarla al presidente. Sul mio cellulare di servizio avevo ricevuto da un numero "privato" (forse una cabina) la telefonata di una persona di sesso femminile che mi disse di essere la moglie di Tarantini. Credo che avesse avuto il mio numero da Lavitola che me l'aveva preannunciata. Le dissi che ci saremmo visti fuori da palazzo Grazioli.
Avvisai il presidente che Nicla doveva consegnarmi una lettera e lui mi disse di andare a prenderla. Lei mi disse che conteneva una richiesta di aiuto economico al presidente. Ho rivisto Nicla a distanza di mesi quattro volte. à avvenuto nel luglio scorso, ormai c'era contatto diretto. Una prima volta, agli inizi di luglio, mi disse che aveva delle cose da dire al presidente. Fissammo un appuntamento... mi disse che aveva bisogno di 5.000 euro e la rassicurai. Lo dissi al presidente che mi autorizzò a prelevare dalla cassa per le spese domestiche 5.000 euro in contanti e un paio di giorni dopo li consegnai.
Verso la fine di luglio ci fu analogo incontro con analoga richiesta. Senza passare per il presidente le dissi che non era possibile perché eravamo a fine mese ed erano finiti i contanti. Poco dopo mi chiese un altro incontro, mi richiese nuovamente i 5.000 euro ma le dissi che non era possibile e neanche ad agosto perché non c'era il ragioniere. Mi sono preso la libertà e la responsabilità di non comunicare al presidente Berlusconi ma solo a cose fatte di queste ulteriori richieste da me rifiutate, proprio nell'interesse del presidente che cercavo di salvaguardare evitandogli di avere eccessivi contatti con queste persone che non sanno comportarsi e se ne approfittano».
Poi il maggiordomo parla dei cellulari: «Lavitola mi mandò un suo collaboratore verso inizio di luglio per consegnarmi tre telefoni con utenze straniere. Mi spiegò che era necessario che il presidente le utilizzasse per parlare con lui che si trovava all'estero.
Due o tre giorni dopo, alla presenza del presidente Berlusconi, composi il numero di telefono dell'utenza straniera in uso a Lavitola e passai la comunicazione al presidente. Il presidente era stato già informato da me che Lavitola mi aveva fatto consegnare questi telefoni e per la verità mi parve piuttosto seccato di questa modalità e se non ricordo male mi disse: "Queste cose le fanno i mafiosi"».
MINACCE A GHEDINI E LETTA
Il 13 settembre scorso i pubblici ministeri interrogano Ghedini. L'avvocato parlamentare racconta che Lavitola «aveva insistito con i vertici del partito per essere messo in lista». E poi spiega di aver consigliato «sia io, sia il dottor Letta in maniera ancor più vivace di me, al presidente Berlusconi di non frequentare questo signor Lavitola che sarà una persona simpaticissima, piacevolissima, ma che non ci entusiasmava per ciò che veniva prospettato.
E il presidente Berlusconi, che è uomo così generoso, dopo che il signor Lavitola non fu messo nelle liste elettorali, gli spiegò che ciò era dovuto anche al fatto che sia io sia il dottor Letta avevamo dato un nettissimo parere negativo... Ciò provocò in lui una reazione non particolarmente piacevole, tanto che andò in ufficio dal presidente e, parlando con Marinella (Brambilla, segretaria del premier, ndr), e dicendo e facendo delle minacce di tipo fisico; io posso mai frequentare uno come Lavitola che mi viene a fare minacce di tipo fisico? Io mi sono limitato a esprimere un parere e adesso dice di volermi bastonare, tant'è che se lo domandate a Marinella se lo ricorda perfettamente questo episodio».
Ghedini dice che Berlusconi «dopo l'esplosione mediatica mi dice che questo è un suo buon conoscente, che è un imprenditore, che è una persona perbene, che non ha fatto niente di male e mi dice se fosse possibile che io assumessi anche la difesa di Tarantini. Io gli dico che è impossibile ma consiglio Nicola D'Ascola che secondo me è il più bravo», ed è anche il suo socio di studio a Roma.
Ghedini ammette di aver saputo da Berlusconi «che Tarantini gli scriveva dicendo che non poteva più stare ai domiciliari» e poi conferma che fu proprio Lavitola, durante un incontro a palazzo Grazioli con lui e D'Ascola, a dire di aver procurato il lavoro a Tarantini: «Ci ha detto Lavitola...che glielo aveva chiesto il presidente... Berlusconi ritiene Tarantini un perseguitato».
Ribadisce che lui e l'avvocato Giorgio Perroni manifestarono «perplessità sul pagamento di 500 mila euro che era difficilmente gestibile dal punto di vista esterno visto che Tarantini era stato accusato di aver portato giovani fanciulle a palazzo Grazioli e abbiamo discusso concordando di cercare di non far arrivare questi denari...».
Ma poi conclude: «Berlusconi di tutti coloro che vengono toccati da vicende giudiziarie, naturalmente per riflesso condizionato, ha una solidarietà istintiva. Faccio l'esempio di Emilio Fede che si sarebbe tenuto una parte del denaro dato a Lele Mora, ha delle espressioni non proprio straordinarie nelle intercettazioni, ma su questo il presidente è granitico: "è un amico mio"».
I CONTRATTI MEDIASET
Bruno Crea, titolare della cooperativa Andromeda che assunse Tarantini, sostiene che l'imprenditore «mi promise lavori e contratti con Mediaset grazie al suo legame e ai suoi rapporti con Berlusconi. In particolare mi disse che, grazie ai suoi rapporti con Berlusconi, avrebbe potuto fare affidare da Mediaset ad Andromeda i servizi di call center (inerenti per esempio alla vendita di Premium o ai reclami); poi non se n'è fatto niente».
Lo stesso Tarantini, durante l'interrogatorio del 12 settembre scorso nel carcere di Poggioreale, ammette di aver inviato anche lui una lettera a Berlusconi con una richiesta di soldi e così si giustifica: «Berlusconi è stato "sputtanato" ma, almeno dal punto di vista economico, non è cambiato nulla nella sua vita. Invece Tarantini è stato "sputtanato" perché era amico di Berlusconi, mi hanno tolto tutto quello che mi potevano togliere, aziende, case, macchine, uffici e soldi... à l'unica persona che ho, siamo stati amici, abbiamo condiviso insieme un anno, ci siamo divertiti, ci siamo fatti in quel momento regali a vicenda, io non gli ho chiesto niente, lui non mi ha chiesto niente. Io vengo distrutto, gli chiedo una mano, perché non dovrebbe darmela?».
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