DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Andrea Malaguti per “la Stampa”
A fregare Maria Elena Boschi in questi giorni complicati, in cui - per usare uno slogan caro alle femministe degli anni Settanta - è diventato per lei impossibile distinguere tra «personale e politico», tra «privato e pubblico», è una forma incancellabile e un po' infantile di provincialismo, che fa collassare il suo mondo, e il suo fanfaniano quadro di riferimento culturale, sul triangolo Montevarchi-Arezzo-Laterina.
La sua forza e la sua debolezza. Non ce la fa a guardare con distacco i problemi della sua terra e tanto meno quelli della sua famiglia, perché il babbo Pier Luigi, un ex contadino caparbio, capace di ritagliarsi un posto prestigioso in società, le ha insegnato che nella radice e nella tenacia c' è il segreto di ogni cosa.
Deve essere per questo che quando il numero uno di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, arriva nella casa di famiglia di Arezzo per partecipare a un incontro con suo padre e con i vertici di Banca Etruria, lei, da poco diventata ministra, si presenta, si siede, ascolta senza proferire parola, si alza e se ne va. Non resiste al richiamo. Però tace.
Come se quel silenzio, che oggi le consente di dire: «non ho mai fatto pressioni per favorire mio padre e banca Etruria», la assolvesse. Non è così. Se tecnicamente non dice una bugia, politicamente lo fa. Perché è difficile immaginare che un avvocato con una carriera fulminante come la sua, non sappia che il conflitto di interessi non è un' azione, ma una condizione. Non importa se fai qualcosa che ti favorisce. Importa che tu sia in grado di farlo.
Lei, serissima, studiosissima, spietatissima (è complicato non rifugiarsi nei superlativi assoluti nel suo caso), indicata come possibile primo Capo di Governo donna, luogocomunista di classe, incantevole volto del renzismo della prima ora, regina dei red carpet, capace di ammaliare imprenditori, giornalisti, intellettuali, avversari politici del proprio e degli altri partiti, a lasciare la sua non ci pensa proprio. Che cosa la muove?
Prima di cercare una risposta, vale la pena farsi un' altra domanda che invece una risposta precisa non ce l'ha: se Pier Luigi Boschi, come dice spesso l' ex ministra ora sottosegretaria, era sì vice presidente di Banca Etruria ma aveva un ruolo marginale, perché la riunione con Consoli si fece a casa sua alla presenza - per quanto fugace - della figlia?
Rimasta in sella dopo il disastroso esito del referendum del 4 dicembre, indifferente alle difficoltà che i suoi legami familiari stanno causando al Pd - rivelando in questo la sua debolezza politica più evidente - Maria Elena Boschi ha per lo meno dimostrato di conoscere le arti della difesa dialettica come pochi altri. Lo schema è semplice: quando sei attaccato, attacca con più forza. Possibilmente spostando il bersaglio.
Al presidente della Consob, Vegas, che raccontava degli incontri avuti per parlare dei guai toscani, ha replicato riferendosi a un anomalo Sms con cui lo stesso Vegas la invitava a casa sua alle otto del mattino. Stilettata non male in epoca di #Metoo. E a Marco Travaglio, che la incalzava dalla Gruber, ha risposto infastidita: «Sono convinta che se fossi stata un uomo non mi avrebbe riservato lo stesso tipo di trattamento».
Riflessione piuttosto sgangherata, ma rivelatrice del carattere di una donna decisa a difendersi con qualunque arma. Sensata o insensata. O, appunto, «personale e politica».
LE SCARPE DI MARIA ELENA BOSCHI
Chierichetta, catechista, lettrice volontaria (vedi Wikipedia), prima laureata della sua famiglia, nel 2009, Meb (come la chiamano i compagni piddini) faceva parte del comitato fiorentino che voleva il dalemiano Michele Ventura sindaco. Il suo avversario era Matteo Renzi. Ventura perse. Boschi - assieme a Bonifazi - cambiò squadra. Ma il concetto di tradimento, soprattutto in politica, si sa, è come le dune di sabbia. In perenne cambiamento.
E lei diventò renzista fino al midollo, riuscendo persino a dare l' idea di essere l' unica in grado di dominare psicologicamente il suo egocentrico leader. Suggestioni? Forse.
Di sicuro nei corridoi di Montecitorio oggi sono in molti a dire che il rapporto tra i due non è più solido come un tempo.
E che se Consoli (e poi Ghizzoni) è stato chiamato a testimoniare in commissione banche, è proprio perché anche il Grande Capo sarebbe pronto a sacrificare la sua più fedele e devota collaboratrice pur di caricare il disastro degli istituti di credito su Bankitalia.
Dietrologia fanatica di chi la detesta, magari. Certamente oggi la Statista, come la chiamano gli amici-nemici lucalottiani del partito, è in difficoltà come non lo è stata mai. «Dimissioni» è una parola che le rimbalza in testa ma che ancora respinge, convinta - presumibilmente in buona fede - che la Nazione non possa fare a meno di lei. Ora però le serve un salvagente, mentre la sua storia da sacerdotessa si appanna vistosamente. Era una soluzione. È diventata un problema. Chissà se la fede si incrina o si erode, ma quando sparisce sembra sempre una cosa improvvisa. E invece non lo è.
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