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DAGOREPORT - GIORGIA MELONI SOGNA IL FILOTTO ELETTORALE PORTANDO IL PAESE A ELEZIONI ANTICIPATE?…
GIGGINO DA POMIGLIANO A WASHIGTON – DI MAIO IN TOUR FRA I PALAZZI DEL POTERE, MA TRUMP LO SNOBBA: VEDE SOLO I PRESIDENTI DELLE COMMISSIONI ESTERI – GLI USA NON SI FIDANO: M5S TROPPO “VICINO” A MOSCA. E GLI CHIEDONO LA PROVA DEL SANGUE SULLA NATO. IL CANDIDATO PREMIER DICE “NO” ALLE RICHIESTE DELLA CASA BIANCA
1 - VOLA A WASHINGTON CON IL PROCLAMA "FEDELI AGLI USA, NON A MOSCA"
Ilario Lombardo per La Stampa
«Non è un caso che abbia scelto gli Stati Uniti» ci tiene subito a far sapere Luigi Di Maio: «Non è un caso che abbia scelto proprio questa meta come primo viaggio da candidato premier del M5S». C' è un prima e ci sarà un dopo nella politica estera in via di definizione nel Movimento. In un' estrema sintesi: più Stati Uniti meno Russia (e Venezuela). Perché in questa trasvolata atlantica non c' è soltanto lo scontato desiderio di accreditarsi e cercare una vetrina, ma c' è anche voglia di fare chiarezza, di ridisegnare il volto internazionale del M5S.
Perché nell' anarchia in cui spesso è stata lasciata, non si capisce bene la direzione verso cui tende la politica estera, rimasta in balia di troppe ombre. «Basta con questa storia della Russia e che siamo alla mercé di Putin - ha detto Di Maio nelle riunioni preliminari al viaggio - È una storia che non sta in piedi e che ci fa solo del male». Mr Di Maio va a Washington, infatti, mica a Mosca. Sbarcato nella capitale americana, ieri sera è stato a cena con l' ambasciatore Armando Varricchio accompagnato dal capo della comunicazione Rocco Casalino e dal consigliere politico Vincenzo Spadafora, a cui si deve molto della ribalta internazionale del candidato premier del M5S.
Proprio come una fiaba di Frank Capra: il ragazzo di Pomigliano in cinque anni è passato dall' asfalto della strada dell' attivismo al pavimento lucido dei palazzi del potere globale. Di Maio è l' atlantista del gruppo ma sa benissimo che tra i grillini a giocare con la sponda russa sono stati in diversi. Alessandro Di Battista, il senatore Vito Petrocelli e soprattutto Manlio Di Stefano.
grillo e casaleggio al consolato americano di milano
Le sue perplessità per queste simpatie sono aumentate nel corso di questi anni di presunti condizionamenti elettorali in cui il M5S è stato associato a tutte le forze populiste e antisistema europee tenute in gran considerazione da Mosca. «Ricordo a tutti che la prima visita di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio dopo il nostro inaspettato successo nel 2013 fu all' ambasciata americana a Roma». Il ragionamento che fa Di Maio è semplice: «Siamo occidentali e il nostro più grande alleato in Occidente sono gli Stati Uniti», se c' è un interesse della Russia «è da parte loro verso di noi». «Il M5S vuole solo fare gli interessi commerciali dell' Italia. Ecco perché siamo per togliere le sanzioni a Mosca».
Diverso è il discorso sulla Nato. Nel programma del M5S cucito addosso alle teorie più radicali di Di Stefano c' è scritto di voler «ridiscutere la partecipazione italiana nell' Alleanza». Vorrebbe dire strappare un sorriso a Vladimir Putin, insofferente alla presenza militare ai confini del suo impero. Per Di Maio la questione deve essere calibrata meglio. All' indomani della sua incoronazione, sulla Nato rispose così ai giornalisti stranieri: «Non siamo disponibili a rifinanziare il programma militare con altri 14 miliardi di euro».
Un messaggio al presidente Trump che ancora avanza questa richiesta agli alleati? Un altro favore a Putin? Di Maio coglierà l' occasione di questo viaggio per chiarire che il M5S non accetterà di mettere più soldi, come vuole Trump, ma che «non è vero che vogliamo bloccare i finanziamenti alle missioni». Insomma, siamo a una fase di tentata maturazione del pensiero politico grillino anche sullo scacchiere globale. Ora il M5S ha un leader dichiarato, «e una sintesi va trovata» confida Di Maio ai suoi.
Basta con iniziative individuali e gaffe: come le dichiarazioni amichevoli sul Venezuela di Maduro della senatrice Ornella Bertorotta e ancora la disponibilità con i russi, considerata a tratti eccessiva, di Di Stefano, responsabile Esteri di fatto esautorato. Il candidato premier vuole una sorta di normalizzazione e la tappa a Washington serve a questo. A rassicurare, a provare a mostrare cos' è il M5S «e a spiegare che non siamo solo quello che raccontano». Ecco perché al di là dei colloqui a Capitol Hill con parlamentari repubblicani e democratici (il leader dei libertari Rand Paul è stato ferito da un vicino e l' incontro potrebbe saltare), è importante, agli occhi Di Maio e dei suoi consiglieri, l' appuntamento al Dipartimento di Stato.
È un primo fondamentale approccio con l' amministrazione Usa, con gli ambienti più vicini a Trump verso il quale il grillino non nutre pregiudizi, «anche se - sostiene - restano gli stessi dubbi di tutti sulla sua politica energetica». Pure Trump non se la passa bene quanto a sospetti sulle manovre russe, ben più pesanti di quelli sugli ammiccamenti ai 5 Stelle. E anche se in Italia i rapporti del M5S con i giornalisti sono ai livelli del presidente Usa, Di Maio chiuderà il suo viaggio nella sede del «Washington Post» che di Russiagate e scoop ne sa qualcosa.
2 – MA GLI AMERICANI RESTANO CAUTI: "VOGLIAMO IL SÌ ALLA NATO"
Paolo Mastrolilli per La Stampa
Gli Stati Uniti guardano con interesse al Movimento 5 Stelle, anche perché - come ci ha detto l' ex assistente del presidente Trump Sebastian Gorka - «tocca agli italiani decidere chi li governa». Il punto irrinunciabile per costruire una buona relazione, però, è il rispetto dei valori della democrazia liberale occidentale, unito ad una scelta di campo nelle alleanze internazionali che non consenta di mettere Washington sullo stesso piano di Mosca.
donald trump a bruxelles al meeting nato
Il fenomeno fondato da Beppe Grillo aveva attirato la curiosità degli americani fin dalla prima amministrazione Obama, come avevamo scritto citando i rapporti dell' allora ambasciatore David Thorne, interessato in particolare all' uso che il movimento faceva di internet. Un' attenzione per le nuove tecnologie considerata essenziale per lo sviluppo dell' Italia. Questa curiosità si era trasformata in preoccupazione nel 2016, quando le agenzie dell' intelligence americana avevano captato le attività della Russia per influenzare le presidenziali Usa.
Washington aveva capito che si trattava di un' offensiva ad ampio raggio, finalizzata a destabilizzare le alleanze occidentali ovunque fosse possibile, dalla Gran Bretagna con la Brexit alle elezioni nei Balcani. Quindi nell' ottobre dell' anno scorso il dipartimento di Stato aveva inviato una missione a Roma, per informare i colleghi di Via Veneto dei rischi che correva anche il nostro Paese. All' epoca erano noti i rapporti di M5S con la Russia, che lo stesso Di Maio ammette con il nostro giornale, e ciò aveva alimentato il sospetto degli Usa che il Cremlino potesse puntare sui grillini per creare incertezza in Italia.
Nel maggio scorso il vice presidente della Camera era andato a Boston, dove ci aveva detto che «l' Italia deve essere alleata, non suddita degli Usa». Quindi si era dichiarato contrario ad investire i 14 miliardi di euro necessari a portare i contributi di Roma alla Nato al 2% del Pil, e favorevole al ritiro dall' Afghanistan, dove invece nel frattempo Washington ha aumentato le truppe, chiedendo a tutti gli alleati di restare. Sulla Siria aveva equiparato l' intervento di Putin a quello di Trump, aveva chiesto la fine delle sanzioni a Mosca per l' intervento in Ucraina, suggerito la mediazione di Alba per risolvere la crisi in Libia, e criticato l' uscita degli americani dall' accordo di Parigi sul clima.
Il repubblicano Rand Paul con il padre Ron in Kentucky
Nei mesi successivi una delegazione del dipartimento di Stato aveva incontrato Di Maio a Roma per approfondire la conoscenza diretta. Quindi è nata la missione a Washington, per chiarire le posizioni in vista delle elezioni. Sfumata la possibilità di vedere l' assistente segretario di Stato per l' Europa Wess Mitchell, perché in viaggio appunto nel Vecchio continente, Di Maio dovrebbe incontrare stamattina il suo vice Conrad Tribble. Anche l' appuntamento col senatore Rand Paul, repubblicano libertario considerato più attento a fenomeni come M5S, è finito in forse per l' aggressione personale subita qualche giorno fa, mentre invece sono confermati quelli con i deputati della Commissione Esteri Rooney ed Engel.
La vittoria di Trump può aver dato la sensazione di un' apertura verso i movimenti populisti, a partire dall' appoggio in campagna elettorale per la Brexit, ma una volta al governo la situazione è cambiata. Il consigliere populista Bannon non è più alla Casa Bianca, dove ora comandano i generali Kelly e McMaster. L' effetto si è già visto in Catalogna, dove Washington ha preso una posizione netta contro il referendum indipendentista, perché il nuovo presidente si è convinto che la destabilizzazione dell' Europa e della Nato, favorita da Mosca, non è nell' interesse degli Usa.
L' approccio all' Italia potrebbe essere simile. Trump, ad esempio, ha insistito molto sul fatto che gli alleati rispettino l' impegno di investire il 2% del Pil nella difesa, e difficilmente potrebbe andare d' accordo con un governo che congeli i finanziamenti all' Alleanza Atlantica. Il suo ex consigliere Gorka ha indicato come elementi irrinunciabili per lavorare con un esecutivo grillino il rispetto «dei valori della civiltà occidentale, tipo democrazia rappresentativa, dignità individuale, libertà».
Lui era il braccio destro di Bannon, e se questa è la linea della sua corrente populista, è lecito supporre che il gruppo realista dominante ora alla Casa Bianca sia ancora più determinato su tali posizioni. L' epoca in cui gli Usa pensavano di poter decidere i governi dei Paesi alleati è finita da tempo, ma queste restano le discriminanti irrinunciabili nel rapporto con tutti gli amici, su cui Washington si aspetta garanzie da Di Maio.
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