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Francesco Grignetti per "la Stampa"
I marmi, gli stucchi, le porte in legno brunito. E poi i corridoi interminabili, le scalee, gli androni. Ecco la severa Corte di Cassazione. Chi l'ha costruita l'ha pensata come tempio del diritto. Un luogo dove si dovrebbe mantenere la freddezza sempre e comunque. Il giorno dopo l'exploit del presidente Antonio Esposito, però, nei deserti corridoi marmorei si coglie una temperatura che non t'aspetti. Più che calda, incandescente.
Il Primo presidente, Giorgio Santacroce, non vuole più parlarne, di Esposito. Rinvia a quanto detto a caldo, dopo aver sentito il collega, e dopo aver spedito una relazione al ministro Cancellieri: «Reputo l'intervista rilasciata comunque in sé inopportuna». Santacroce nei giorni scorsi aveva stabilito, invocato, richiamato tutti al silenzio. Si profilava un passaggio terribile, per la Cassazione, con la sentenza su Berlusconi.
Esposito non gli ha dato il minimo ascolto. E ora Santacroce sbuffa con i suoi al telefono: «C'è l'autonomia dei collegi, l'autonomia dei singoli magistrati, la libertà di parola... Per noi (e quando dice «noi» calca la voce, perché intende i giudici di Cassazione, ndr) i magistrati parlano solo attraverso le sentenze. Però naturalmente Esposito è libero di parlare con i giornalisti, magari poteva evitare di farlo, ma ormai la cosa è fatta».
Quanto la consideri inopportuna, quell'intervista, basti considerare che Santacroce, nella veste di membro del Comitato di presidenza del Csm - assieme al vicepresidente Michele Vietti e al procuratore generale Gianfranco Ciani - ha deliberato ieri che sia aperta una pratica con la massima urgenza contro Esposito. Il quale ora, a 71 anni, e da presidente di sezione penale della Cassazione, rischia un trasferimento d'autorità in quanto avrebbe compromesso «l'indipendenza, la terzietà e l'imparzialità del magistrato, anche sotto il profilo dell'apparenza».
Sono giorni di ferie, com'è noto, in Cassazione. E quindi i suoi corridoi sono particolarmente sguarniti. C'è solo un'anima in pena che vaga. à appunto il presidente Esposito. Il suo telefonino squilla ininterrottamente. «Basta, la ringrazio, non dò più interviste. Oggi parlo solo con comunicati. Mi vuole dare la sua mail o un fax? Le faccio avere un testo».
Eppure il presidente Esposito freme. Non riesce a mordersi la lingua. Ce l'ha con i giornalisti. Con «quel» giornalista in particolare del "Mattino" che avrebbe tradito la sua trentennale fiducia. Presidente, gli chiediamo, sapeva della registrazione? «No. Registrava a mia insaputa». E quindi, anche lei, come tutti, s'è attaccato ai siti per risentirsi? «Per forza. Io non sapevo neppure dell'esistenza di una registrazione, tantomeno potevo averne copia. Ho dovuto riascoltarmi con il computer per capire meglio che cosa avevo detto e che cosa mi avevano attribuito. Per me, faceva fede solo il testo concordato. Quello che mi avevano sottoposto con un fax e che io ho autorizzato. Ce l'ho qui. Lo vuole? Glielo mando al suo fax».
à questo il caposaldo della difesa di Esposito: l'intervista da pubblicare era solo quella concordata, il resto non doveva esistere. Peggio ancora, è stata manipolata perché una frase vera segue una domanda che non è mai stata formulata. «Eseguita questa scorretta operazione - scrive infatti Esposito nel suo comunicato-arringa scritto in terza persona- di inserire nell'articolo una domanda proprio sul processo, mai invece formulata, il giornalista ha poi strumentalmente "agganciato" - e fatto risultare come risposta del dr. Esposito ad una specifica domanda sul processo mai rivoltagli - parte del discorso del tutto generico sui non-poteva-non-sapere».
Questo è quanto Esposito ha scritto nella notte, sentito e risentito il colloquio, in quel napoletano strettissimo che al Senato è già diventato fonte di gag tra Alessandra Mussolini e Roberto Calderoli. Ma ora come pensa di procedere? Farà azioni contro il giornalista o contro il giornale? «Non lo so, ci devo pensare, non lo escludo».
Mentre il presidente Esposito medita vendette, però, l'intera Cassazione vorrebbe la sua testa. Voci pubblicabili, poco o nulla. Parla in chiaro solo Giuseppe Maria Berruti, presidente di sezione civile della Cassazione, per invitare al silenzio: «Mi auguro - dice - che ora tutti tacciano. L'opinione pubblica è confusa. Gli stessi esperti del diritto faticano. Bisogna riflettere perché questa è una vicenda dolorosa. Mai l'autorità della Corte va contrapposta al consenso politico».
Lontano dai taccuini, però, più di un autorevole magistrato è esplicito e colorito. «Siamo basiti - dice uno perché mai Esposito avrebbe dovuto infilarsi in una strada di parole, smentite e controsmentite. Chiaro che vince il giornalista e perde l'intera magistratura». Un altro: «Io lo strozzerei con le mie mani. Ci ha fatto un danno incalcolabile. Il Pdl non aspettava altro per strillare». Un terzo: «La smentita l'ha fatta, ma per quel che conta, ormai... ».
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