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DA GOLDMAN SACHS A FORD FINO AI BIG DELLA SILICON VALLEY, TUTTI CONTRO TRUMP PER IL DECRETO BLINDA-FRONTIERE - MA NON SI TRATTA DI IDEALI: AI CAPITALISTI USA FA COMODO DISPORRE DI MANO D’OPERA A BASSO COSTO - MA AL PRESIDENTE FA COMODO: DIMOSTRA DI ESSERE IL DIFENSORE DEL POPOLO CONTRO LE ÉLITES

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Federico Rampini per “la Repubblica”

 

PROTESTE CONTRO TRUMP PROTESTE CONTRO TRUMP

Non si ricorda una simile mobilitazione del capitalismo americano contro un presidente. Stavolta Donald Trump ce li ha contro tutti, non solo le aziende digitali della West Coast ma il capitalismo più tradizionale, le banche di Wall Street, perfino i petrolchimici della dinastia Koch. È riuscito a unirli tutti all’opposizione, contro il suo decreto blinda-frontiere.

 

Il coro di critiche dall’establishment economico coincide con una giornata di calo delle Borse, un altro segnale che la luna di miele con Trump è in crisi. E nella condanna unanime dal mondo delle imprese giocano fattori che vanno oltre gli interessi materiali. Certo, le imprese americane da mezzo secolo sono abituate a potersi rifornire di manodopera e cervelli attingendo a un mercato del lavoro globale, l’idea di creare barriere etnico-religiose ha un impatto dannoso sul business.

 

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Ma c’è anche un appello ai valori che viene da tanti imprenditori e banchieri loro stessi immigrati o figli d’immigrati, compresa la componente ebraica che ricorda l’Olocausto. Infine il decreto anti-musulmani è la goccia che ha fatto traboccare il vaso: confermando i sospetti di tipo caratteriale su Trump, il dilettantismo e l’improvvisazione uniti alla presunzione formano un cocktail micidiale. I poteri forti dell’industria e della finanza di colpo dubitano che lui possa mantenere anche le promesse “positive” (meno tasse, deregulation) visto il disastro in cui è incappato al primo test serio.

 

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«Goldman Sachs critica il governo di Goldman Sachs», è il titolo ironico usato dall’agenzia Bloomberg News. In effetti la potente merchant bank ha piazzato ben tre suoi dirigenti come ministri o alti consiglieri del presidente. Eppure il suo chief executive Lloyd Blankfein non esita a mandare un messaggio vocale ai 34.400 dipendenti, sull’ordine esecutivo di venerdì che blocca gli accessi da 7 paesi: «Non è una politica che sosteniamo». Un altro colosso di Wall Street, la JP Morgan Chase, sottolinea che «l’America è rafforzata dalla diversità».

 

Clamorosa la presa di distanza della Ford. La casa automobilistica era protagonista di un idillio con Trump, a cui aveva promesso di ri-localizzare in Michigan una nuova fabbrica inizialmente destinata al Messico. In cambio si era vista offrire un abbattimento della tassa sui profitti e lo smantellamento delle norme anti- smog di Obama. Ma di fronte al decreto anti-islamici il presidente e il chief executive della Ford non ci stanno: «Contraria ai valori della nostra azienda».

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La città natale della Ford, Dearborn, è la “capitale islamica” degli Stati Uniti, il 30% degli abitanti sono di origine araba. I più beneficiati dalla “contro-rivoluzione fossile” di Trump, i fratelli Koch, hanno rotto la solidarietà con la Casa Bianca: «È possibile mantenere l’America sicura, senza escludere coloro che vogliono venire per migliorare la vita delle loro famiglie».

 

La Silicon Valley californiana, e in generale tutta la West Coast, vede una sollevazione anti-Trump di tutti i grandi nomi dell’imprenditoria. Il chief executive di Apple, Tim Cook, ricorda che il compianto Steve Jobs era figlio di siriani. Mark Zuckerberg di Facebook ha subito condannato Trump, come lui hanno preso posizione Microsoft, Netflix e tanti altri.

 

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Dopo le proteste scatta la solidarietà con le vittime. Da Seattle Starbucks annuncia che assumerà diecimila rifugiati entro i prossimi cinque anni. Da San Francisco si muovono le app digitali: Airbnb offre alloggi gratis ai profughi, Uber offre prezzi scontati a chi ha bisogno di un passaggio per andare a manifestare negli aeroporti. Google vara un fondo di solidarietà di 4 milioni con chi ha subito i danni del blocco degli ingressi, Lyft fa lo stesso con un milione di dollari.

 

Trump in campagna elettorale aveva messo in conto che l’establishment capitalistico potesse remargli contro: questo rientrava nella sua narrazione, che lo descrive come l’outsider, il difensore del popolo contro le élites. Poi però aveva lanciato una serie di segnali pro-business, sulle tasse o contro l’ambiente, per recuperare consensi su quel fronte.

 

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Ieri ci ha riprovato, con un ordine esecutivo che promette di abrogare due norme ogni volta che ne viene creata una nuova. È anche tornato a promettere uno smantellamento della legge Dodd-Frank, la riforma della finanza che varò Obama e non piace a Wall Street. Ma almeno ieri il grande comunicatore ha fatto cilecca, questi due annunci sono stati quasi ignorati nel fracasso generato dal bando di venerdì.