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Federico Capurso per "La Stampa"
«La testa di Bonafede sarà la prima a cadere». A dirlo non è un nemico giurato del ministro della Giustizia. Il tono, anzi, è rassegnato. Sono i suoi stessi compagni di partito del Movimento e, per di più, membri dell'esecutivo che gravitano nella stessa corrente governista del Guardasigilli, a credere che ormai sia questione di tempo: «Si dovrà solo capire quando e come lascerà, ma non riusciremo a difenderlo». Perché i destini del ministro e quelli del governo sono incrociati, ma difficilmente potranno avere entrambi un esito positivo.
ALFONSO BONAFEDE GIUSEPPE CONTE
Mercoledì il primo banco di prova, quando verrà illustrata ai deputati la relazione annuale sulla giustizia. I numeri della maggioranza, alla Camera, sulla carta ci sono e si sono consolidati con l'ultimo voto di fiducia, ma inizia a sollevarsi qualche perplessità sulla loro tenuta. Tra i responsabili che hanno rinfoltito le file della maggioranza nell'ultima settimana, infatti, molti sono moderati che non hanno mai visto di buon occhio l'anima giustizialista del ministro grillino. Con il possibile voto contrario dei deputati di Italia viva, poi, Bonafede rischia di ballare sul filo. L'appello lanciato dal vicesegretario del Pd Andrea Orlando va proprio in questa direzione: «Sarà difficile non solo allargare, ma tenere i voti.
Ci vuole una iniziativa politica del governo e di Bonafede, altrimenti si rischia di andare a sbattere». E il fatto nuovo sarebbe la «svolta garantista». Senza una virata decisa sulla giustizia, in Senato la maggioranza non resterà in piedi perché nuovi senatori responsabili, all'orizzonte, non se ne vedono. Bonafede sta pensando di rinviare di un giorno l'informativa a palazzo Madama, fissandola per giovedì. Darebbe così il tempo di saggiare i numeri alla Camera, tutt' altro che scontati. Ma se la maggioranza perdesse pezzi già a Montecitorio, nel Movimento e nel Pd spingerebbero - fanno sapere da entrambi i partiti - per un immediato Conte ter, in modo da rinviare il test al Senato e cambiare la guida a via Arenula.
luigi di maio alfonso bonafede
Deve ancora essere convinto Giuseppe Conte, cosa non da poco, ma se cadesse sul voto di giovedì Bonafede, che è capodelegazione del M5S, affonderebbe tutto il governo. E si sta cercando di persuadere il premier ad anticipare le sue dimissioni addirittura a martedì, così da evitare un possibile indebolimento della maggioranza a Montecitorio. Di Conte ter ha anche parlato, non a caso, Bruno Tabacci al termine del suo incontro a palazzo Chigi con Luigi Di Maio. Per l'area moderata un cambio di passo nel segno di una nuova stagione garantista è un elemento cardine dell'operazione di allargamento della maggioranza.
giuseppe conte alfonso bonafede
E per il cambio alla guida del dicastero di via Arenula il Pd vorrebbe proprio Orlando, che potrebbe gestire la riforma della giustizia inserita dall'Europa tra le condizioni da soddisfare per poter accedere ai fondi del Recovery plan. A rischiare, tra i big del Movimento, non c'è però solo Bonafede. Iniziano a farsi insistenti, infatti, le voci che vedrebbero il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro, sostituito da Stefano Patuanelli, di cui Conte si fida molto. Patuanelli lascerebbe lo Sviluppo Economico a Stefano Buffagni, da tempo in corsa per una promozione, come il capogruppo Pd alla Camera Graziano Delrio, che tornerebbe al ministero dei Trasporti, lasciando le Infrastrutture al viceministro M5S Giancarlo Cancelleri. La musica del valzer dei ministeri si inizia a sentire più forte.
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