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Francesca Santolini per repubblica.it
L'Italia apre le porte ai migranti climatici. Potranno anche loro usufruire del trattamento riservato a chi fugge per guerre o carestie, e ha diritto alla protezione umanitaria. La novità è contenuta nei decreti sicurezza approvati il 18 dicembre scorso. Chi sono i migranti climatici?
Si tratta di un esercito di essere umani in fuga da catastrofi naturali, dalla perdita di territorio dovuta all'innalzamento del livello del mare, da siccità e desertificazione, da conflitti per l'accaparramento delle risorse idriche o energetiche.
Le migrazioni ambientali derivano dalla sovrapposizione di società instabili ed ecosistemi fragili e sono al momento per lo più migrazioni interne (cosiddetti flussi sud-sud). Le persone sono spinte a partire perché non riescono più a sopravvivere nei loro luoghi d'origine, non hanno più accesso a terra, acqua e mezzi di sussistenza. La migrazione è in sostanza una forma estrema di adattamento.
L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati stima che, entro il 2050, circa 200-250 milioni di persone si sposteranno per cause legate al cambiamento climatico. Questo significa che in un futuro non troppo remoto, una persona su quarantacinque nel mondo sarà un migrante ambientale.
Eppure dal punto di vista del diritto internazionale, i profughi climatici sono una categoria pressoché inesistente. Le persone che migrano per ragioni ambientali o fuggono da eventi climatici estremi, oggi sono fantasmi e vengono presentati come migranti economici: il loro ingresso è dunque soggetto al consenso del Paese che li riceve.
Comincia però a farsi strada nel nostro ordinamento, il riconoscimento giuridico di questa categoria. Con i nuovi decreti sicurezza, approvati lo scorso 18 dicembre, oltre ad essere stata reintrodotta la protezione umanitaria, è stato ridisegnato il permesso di soggiorno per calamità naturale.
Il presupposto per la concessione del permesso non è più lo stato di calamità "eccezionale e contingente" del paese di origine, ma la semplice esistenza in tale paese di una situazione grave dal punto di vista ambientale e non necessariamente contingente. Secondo Carmelo Miceli, deputato e responsabile sicurezza del Partito Democratico, già relatore del Decreto Immigrazione si tratta di "un adeguamento dell'ordinamento necessario a tenere il passo con i mutamenti delle esigenze della popolazione mondiale. Dovremmo riconoscere sempre di più la questione climatica come un fenomeno geopoliticamente condizionante. Il tema, per esempio, della desertificazione nel Sahel è un tema con il quale ci stiamo già confrontando e ci confronteremo sempre di più".
A confermare il ruolo primario delle variazioni climatiche nei flussi migratori che si muovono dal Sahel africano verso l'Italia è un recente studio pubblicato sulla rivista internazionale "Environmental Research Communications" dell'Istituto sull'inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iia). Secondo lo studio, già oggi la prima causa di gran parte del flusso migratorio verso l'Italia è causato da fenomeni meteo-climatici che rappresentano uno dei vettori principali degli spostamenti di massa.
Dalla fascia del Sahel, che coincide con la fascia della desertificazione, arrivano nove migranti su dieci di quelli che giungono in Italia attraverso la rotta mediterranea. In quell'area l'agricoltura è fortemente dipendente dalle variazioni climatiche e trasforma l'esodo in una vera e propria lotta per la sopravvivenza.
Raccolti sempre più poveri, siccità e ondate di calore mettono a dura prova il sistema agricolo, unica fonte di sostentamento, facendo abbassare drasticamente l'offerta di cibo. Ma non è tutto. Anche il flusso migratorio proveniente dal Bangladesh, uno dei paesi più colpiti dalle conseguenze del cambiamento climatico, è notevolmente aumentato negli ultimi anni. Stando ai dati diffusi dal Viminale, i bengalesi sono il terzo gruppo più numeroso proveniente dalle rotte del Mediterraneo, mentre fino a qualche anno fa non comparivano neanche tra i primi dieci nel nostro Paese.
Per anni abbiamo parlato di emergenza migranti ignorandone la principale causa, riconoscerla è un primo passo alla ricerca di soluzioni tanto complesse quanto indispensabili.
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