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Francesco Bonazzi per Dagospia
“Oltre che un’ossessione ideologica, quella dell’abolizione dell’articolo 18 è una mossa per provare a spaccare il Pd e poi offrire il soccorso azzurro al governo”. Stefano Fassina, ex viceministro dell’Economia e leader della sinistra democrat le legge così, le parole di Renato Brunetta, che in un’intervista al “Corriere della Sera” in realtà ha solo proposto una moratoria del divieto di licenziamento per tre anni per i neoassunti. Ma Fassina ha colto il nocciolo della campagna d’autunno di Forza Italia: fare breccia nella riforma del lavoro e candidarsi a una nuova “coesione nazionale”, come la chiama Brunetta.
Si tratta di un progetto che deve fare i conti con la compattezza del Pd e del governo, tenendo presente che Alfano e l’Ncd chiedono l’abolizione per fine mese dell’articolo 18 per tutti i neoassunti. Un progetto non facile da portare a casa, se si guardano le posizioni attuali e in assenza di un chiaro indirizzo da parte di Renzie.
A uscire allo scoperto per prima, nei giorni scorsi, è stata Marianna Madia, in risposta alla prima uscita di Alfano. Il ministro della Pubblica amministrazione sostiene che “se una cosa deve dividere, tanto vale non dividersi” e fa notare che “se si potesse risolvere il dramma del lavoro cancellando l’articolo 18 lo avremmo già fatto, ma non è così”.
La squadra del Pd al governo, per quello che si può capire oggi, non è tanto disposta a parlare di modifiche all’articolo 18, alla faccia di Alfano e colleghi di partito. Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia, ha detto più volte che l’abolizione dell’articolo sui licenziamenti senza giusta causa “non è la priorità per risolvere il problema dell’occupazione”.
Il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina è addirittura uno che per difendere l’articolo 18 è sceso in piazza, ai tempi di Cofferati, e oggi ai colleghi ricorda sempre che i centomila posti in più in agricoltura sono stati creati con incentivi fiscali e non favorendo i licenziamenti.
Difficile anche che due ex diessini come Andrea Orlando (Giustizia) e Roberta Pinotti (Difesa) si rimangino anni di battaglie a tutela del lavoro, specie in una regione come la Liguria che ha visto ristrutturazioni profonde e, talvolta selvagge.
Più complesso capire la posizione di Pier Carlo Padoan, ministro tecnico ma di area piddina e di antiche frequentazioni dalemiane. Il ministro del Tesoro non ama le dispute “religiose” sull’articolo 18 e quando era capo economista dell’Ocse dichiarò: “L’articolo 18 in quanto tale forse non serve: se dobbiamo proteggere un lavoratore che si sente maltrattato dobbiamo anche avere un sistema di giustizia amministrativa che permetta di implementare le decisioni in tempi rapidi, altrimenti l’articolo 18 resta un pezzo di carta che non cambia molto. I problemi del mercato del lavoro sono altri: l’accesso al lavoro dei giovani, gli ammortizzatori sociali che non ci sono” (7 febbraio 2012 a Sky Tg 24)
Una posizione, quella del Padoan non ancora ministro, che non sembra distantissima da quella di Giuliano Poletti. Nella sua riforma, il ministro del Lavoro ha sì infilato la possibilità di non applicare l’articolo 18 per tre anni, ma lo ha fatto in una cornice complessiva di lotta al precariato e di estensione degli ammortizzatori sociali. Tutto un “pacchetto”, insomma, che renda la sospensione dell’articolo 18 assai meno indigesta e sulla quale si è registrata, per ora, la tenuta del Pd.
Stefano Fassina spiega che se la logica non cambia, e se ci sono davvero i provvedimenti contro precarietà e a favore di maggiori tutele, è d’accordo anche lui sulla moratoria triennale. Ma fa notare che quando Brunetta “apre” sull’articolo 18, ovviamente dimentica tutte le altre “compensazioni” preparate da Poletti.
Il Pd dunque terrà la sua linea compatta? Qui per Fassina entra in gioco la variabile Renzi: “Quelli di Forza Italia puntano sull’articolo 18 per spaccarci come partito, ma io voglio sperare che Renzi mantenga la barra ben dritta e non cada nei vizi ideologici dell’agenda Monti”.
2. ALFANO RILANCIA SULL’ARTICOLO 18 UN NUOVO FRONTE NEL GOVERNO
L’NCD PREPARA L’OFFENSIVA. ESECUTIVO DIVISO, SINDACATI CONTRARI
T. Labate per il "Corriere della Sera"
Sulla strada della maggioranza, da oggi, potrebbe esserci un ostacolo in più. È l’ostacolo su cui, in passato, si sono incagliate altre maggioranze, altri governi e financo altre singole forze politiche. Perché il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano sta per lanciare, questa volta con nettezza, la controffensiva sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
La posizione del titolare del Viminale sul dossier è chiarissima. Si punta a ridiscutere la norma, forse a congelarla per i neo-assunti per i prossimi tre anni, forse addirittura a superarla.
Ma adesso Ncd è pronto a passare all’incasso. E a chiedere, come potrebbe fare riunendo lo stato maggiore del partito tra gli ultimi giorni di agosto e i primi di settembre, che la messa in discussione dell’articolo 18 entri nell’agenda dell’esecutivo. Come? Semplice. Sotto forma di un emendamento da inserire nello «Sblocca Italia».
Per comprendere la portata della grande trattativa che potrebbe riaprirsi sull’articolo 18 basta dare un’occhiata alle prime reazioni che, di fronte alla linea alfaniana, sono arrivate dal governo e dai sindacati. «Abolire l’articolo 18? Non crea lavoro, quindi inutile dividersi», è la posizione del ministro Marianna Madia. E anche Raffaele Bonanni, numero uno della Cisl, ribatte a muso duro: «Sulle modifiche all’articolo 18 si dibatte solo per un puntiglio ideologico, pur di sfuggire ai nodi veri del mercato del lavoro». Tra l’altro, aggiunte, «non lo chiedono neanche le imprese».
Eppure, nonostante le prime frizioni, Alfano e i suoi non intendono fermarsi. «Noi non vogliamo dibattiti ideologici. Ma riforme strutturali quelle sì, le vogliamo», mette a verbale Gaetano Quagliariello. Secondo il coordinatore nazionale del Ncd, «il problema è di sostanza. Servono riduzione della spesa, semplificazione e interventi sul mercato del lavoro». E su quest’ultimo fronte, insiste l’ex ministro delle Riforme, «le politiche basate sull’offerta si sono rivelate un autentico fallimento. Dobbiamo ripartire dalla domanda. E questo vuol dire intervenire subito». Anche sull’articolo 18.
Marcello Sorgi Angelino Alfano
Sul punto il partito di Alfano è compatto. «Dobbiamo sperimentare la liberazione del vincolo dell’articolo 18», ribadisce Maurizio Sacconi. Perché «le imprese non assumono anche per l’articolo 18», insiste Fabrizio Cicchitto. Anche gli alfaniani indiziati di voler collaborare con Silvio Berlusconi alla riunificazione del centrodestra stanno sulle barricate.
GIULIANO POLETTI IN SENATO FOTO LAPRESSE
«Il superamento dell’articolo 18 va praticato subito. Dobbiamo invertire la rotta anche perché quella seguita finora non ha portato a nulla di buono», sottolinea Nunzia De Girolamo. E qualcuno, come Barbara Saltamartini, arriva quasi a ventilare che - se Renzi ignorasse il dossier - potrebbero esserci delle conseguenze sulla tenuta della maggioranza. «Il premier deve avere coraggio e dimostrarsi innovatore anche su questo punto. Se non lo facesse, vorrebbe dire che ha fallito».
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