DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
DAGOREPORT
giancarlo giorgetti e matteo salvini 1
Ieri la Lega ha vissuto uno dei giorni più duri dal punto di vista dei rapporti interni. Al mattino, un Salvini in stato confusionale ha intimato a Giorgetti che i ministri della Lega non avrebbero partecipato al Consiglio dei ministri sulla delega fiscale.
Tant'è che il ministro dello Sviluppo Economico in modalità Draghi, nonché capo delegazione del Carroccio al governo, come segno di “vaffa” al Truce, ha spedito alla cabina di regia un ministro che non ha nulla a che vedcere col la riforma fiscale, quello del Turismo. Il povero Massimo Garavaglia (giorgettiano di ferro) si è sobbarcato il compito di proporre a Draghi di far slittare il voto sulla delega fiscale a dopo i ballottaggi.
Un escamotage soft per tenere a bada "il tossico del Papeete" (copyright Giuliano Ferrara) e la sua curva ultrà dei Borghi e Bagnai. SuperMario ha spernacchiato la richiesta tirando dritto come un pendolino in corsa: "Ho i miei tempi e la mia agenda". Per la serie: se non vi sta bene, non è un mio problema.
Ma cosa ha mandato fuori giri i neuroni di Salvini, al punto da innescare un gesto di reazione così scriteriato? Perché questa “craniata” sulla delega fiscale, nonostante i contestati nuovi criteri per la classificazione degli immobili saranno rilasciati non prima del 2026?
matteo salvini e giorgia meloni
Il "Capitone" sbiella per la disfatta alle amministrative perché è convinto di aver perso per strada voti e consensi per essersi mostrato debole, agli occhi degli elettori, nel confronto con Mario Draghi. Il suo “celomollismo” sarebbe stata messa ancora più a nudo dal confronto a distanza con l'intransigente Ducetta Meloni. La reazione è stata inevitabile: flessione di muscoli, canini in mostra, coltello tra i denti e niente voto sulla delega fiscale.
Risultato? Giorgetti s'è incazzato e ha chiesto un chiarimento generale sulla linea politica. La Lega poteva essere monolitica quando ristagnava al 4% ma ora che è al 20 - è la convinzione del ministro dello Sviluppo economico - c'è bisogno di coralità e condivisione (anche per questo le "correnti" nella Lega, evocate come lo spauracchio da chi è pasciuto al mono-pensiero bossiano, non sono più considerate un'eresia).
L'ala governista del partito convertita all'europeismo spinto, che include Giorgetti, Zaia, Fontana, Fedriga e molti amministratori locali del nord, chiede un congresso entro fine anno per ridiscutere la linea politica. Salvini, per ora, fa orecchie da mercante: vuole rimandare il congresso a fine primavera, dopo l'elezione del Capo dello Stato…
Mario Draghi, dalle stanze damascate di palazzo Chigi, assiste e medita. Lo scontro tra le due anime del Carroccio, ormai radicalizzate su posizioni sempre più distanti, lo preoccupa. Nonostante i capricci da creteen-ager di Salvini, per Draghi la presenza della Lega nel governo è necessaria. Gli consente un margine di manovra più ampio, evitando il "ricatto" di una sola parte politica.
L'equilibrio del governo si regge su uno schema di rimpalli, triangolazioni e sponde che richiede la Lega organicamente in maggioranza. Ogni destabilizzazione può essere pericolosa, visto la piena crisi dei 5stelle di Conte. Anche per questo SuperMario non ha apprezzato il "comizio" anti-Lega, durante la cabina di regia, del ministro del Lavoro, Andrea Orlando. La sua idea è che il Consiglio dei ministri debba lavorare come il cda di una grande azienda: compatto, efficiente, silenzioso.
SILVIO BERLUSCONI E MATTEO SALVINI
Giorgia Meloni, uscita rinforzata dalle elezioni amministrative, si gioca il tutto per tutto al ballottaggio a Roma. Se il suo avatar-carneade Michetti dovesse diventare sindaco, la "Ducetta" sfilerebbe a Salvini la leadership del Centrodestra. In caso di sconfitta, invece, la Meloni - come spesso suggerito anche dal suo consigliori Crosetto - dovrebbe rivedere scelte, uomini e strategie.
Gli slanci euro-critici, l'asse con polacchi e ungheresi, le sacche di fascistelli nel partito e una classe dirigente impresentabile finirebbero sotto la lente di ingrandimento. Un restyling di Fratelli d'Italia diventerebbe necessario come ricucire il dialogo con Berlusconi (con cui la Meloni non parla neanche) per riaprire il dossier sulla federazione di centrodestra, da cui dipende l'agibilità politica in Europa previo approdo al Ppe.
ANTONIO TAJANI LUCA BERNARDO MATTEO SALVINI MAURIZIO LUPI
Il Cav ha discusso con Matteo Salvini dopo il risultato elettorale alle amministrative: gli ha fatto notare il lungo filotto di errori che ha portato alla scoppola del centrodestra. A partire dalla scelta dei candidati. Berlusconi aveva già espresso, inascoltato, le sue perplessità sui nomi di Luca Bernardo e Enrico Michetti. A urne aperte, ha avuto gioco facile nel dimostrare la fondatezza dei suoi dubbi.
In zona Cinquestelle tira un'aria fetida. Pesantissima. L'unico grillino che ha festeggiato la catastrofe elettorale è stato Beppe Grillo. "L'Elevato di torno", senza muovere un dito, ha dimostrato che senza di lui il M5s sprofonda. Anzi, non esiste.
GIUSEPPE CONTE E BEPPE GRILLO A MARINA DI BIBBONA
Le sue perplessità su Conte leader si sono dimostrate fondate: l'effetto Pochette non s'è neanche intravisto. Le piazzette del sud erano piene di “bimbe di Conte”, le urne desolatamente vuote. Il miglior risultato raccolto dai Cinquestelle (11%) s'è registrato a Roma, dove BeppeMao ha speso il suo endorsement per Virginia Raggi. La stessa che Conte voleva silurare per fare spazio a un candidato unico con il Pd…
Grillo è sempre più convinto che la "cura Conte" non sia la strada giusta per il Movimento. Passare dal "vaffa" al linguaggio affettato e fumogeno di Peppiniello Appulo non paga. Meglio tornare alle origini, a un'identità più definita. Il manierismo dell'ex premier accarezza le pupille delle casalinghe ma non accende gli elettori. Ma per cambiare cavallo servirà una scossa che detronizzi Conte.
Chissà che Grillo non segua con attenzione la vicenda giudiziaria che riguarda l'avvocato amico di Conte, Luca Di Donna, indagato per associazione a delinquere e traffico di influenze…D'altronde il piano B è già pronto: fare di Virginia Raggi la nuova leader del Movimento. E' l'unica che ha esperienza amministrativa, ha un consenso personale, è una donna (e oggi si porta molto) e ha toni cazzuti che ancora riescono ad eccitare i pentastellati di vecchio conio, vedi Di Battista. A differenza del lessico pendulo e flebile dell'ex schiavo di Casalino traslocato chez Travaglio.
A proposito, chissà con quale bilancino da farmacista Conte peserà le parole in vista del ballottaggio a Roma. Ci sta pensando da due giorni. E' tra incudine e martello: dovrà dare sostegno al suo ex ministro Gualtieri, per onorare l'asse Pd-M5s, ma non potrà essere troppo caloroso per non irritare Virginia Raggi, che detesta sia Gualtieri che Conte. In un capolavoro di equilibrismo magari finirà per dire "Mi raccomando, non votate Michetti".
Anche sul lato nazionale, Conte si conferma eterno cacadubbi. S'è aggrappato alla linea del suo Rasputin Travaglio: andare alle elezioni dopo aver scelto il nuovo presidente della Repubblica. Ma è una posizione guardinga, d'attesa, defilata. I due hanno registrato le dichiarazioni di Giorgia Meloni che, dopo le amministrative, si è rimangiata al volo il suo “non voterò mai Draghi al Quirinale” e s'è detta disponibile a votarlo per andare al voto.
MARCO TRAVAGLIO E GIUSEPPE CONTE
Ma Conte e Travaglio tendono l’orecchio verso Salvini. E' lui il grimaldello della strategia grillozza-fattoide: se il "Capitone" dovesse portare la Lega fuori dal governo, sarebbe facile per Conte trovare un pretesto per far saltare l'esecutivo e chiedere le urne, del tipo: "Con l’uscita della Lega ci troviamo con una maggioranza debole e numeri risicati in Senato. A questo punto votiamo Draghi al Colle e vediamo quelle che succede..."
Luigi Di Maio, che è sempre stato considerato "il grillino di destra", ora, dopo la vittoria di Manfredi a Napoli, si è lanciato tra le braccia di Enrico Letta (e pure di quelle del suo “boia” Vincenzo De Luca). Ha capito, con il suo proverbiale pragmatismo partenopeo e parte-italiano, che non c'è vittoria fuori dal perimetro di Draghi e dell'alleanza con i dem.
LUIGI DI MAIO PEPPE PROVENZANO GAETANO MANFREDI VINCENZO DE LUCA ROBERTO FICO
L’ex bibitaro del San Paolo ha deposto l'ideologia da tempo (come quando s'infiammò per i gilet gialli con Dibba) e, non avendo le palle per fare il leader, ora sogna di fare il "regista" dei Cinquestelle, magari alle spalle della Raggi, novella Evita (e svita) a 5 stelle. Non a caso, sono sempre più frequenti le sue telefonate con un altro uomo-ombra, Giancarlo Giorgetti. I due si confrontano, parlano. Chissà se hanno condiviso la strategia per liberarsi dei rispettivi leader…
giancarlo giorgetti 2valeria ciarambino luigi di maio giuseppe conte gaetano manfredi da michele
Ultimi Dagoreport
DAGOREPORT - BENVENUTI AL “CAPODANNO DA TONY”! IL CASO EFFE HA FATTO DEFLAGRARE QUEL MANICOMIO DI…
DAGOREPORT: BANCHE DELLE MIE BRAME! - UNICREDIT HA MESSO “IN PAUSA” L’ASSALTO A BANCO BPM IN ATTESA…
FLASH – IL GOVERNO VUOLE IMPUGNARE LA LEGGE REGIONALE DELLA CAMPANIA CHE PERMETTE IL TERZO MANDATO…
FLASH – IERI A FORTE BRASCHI, SEDE DELL’AISE, LA TRADIZIONALE BICCHIERATA PRE-NATALIZIA È SERVITA…
DAGOREPORT – MARINA E PIER SILVIO NON HANNO FATTO I CONTI CON IL VUOTO DI POTERE IN FAMIGLIA…