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Giancarlo Perna per "Libero Quotidiano"
Con l' ostinazione degli anziani, Giorgio Napolitano appena può addenta Pietro Grasso da cui lo divide una vecchia ruggine. Giorni fa, con una lettera al Corsera, l' ex Capo dello Stato ha trattato da dilettante il presidente Pd del Senato, tacendone il nome come se non valesse la pena farlo. Tema della baruffa la riforma di Palazzo Madama.
Com' è noto, Matteo Renzi e l' opinione maggioritaria sono per un Senato non elettivo, ridotto l' ombra di se stesso. Una degradazione umiliante rispetto alla Camera di cui finora era stato gemello. La cosa ovviamente ferisce lo spirito di corpo dei senatori, aldilà delle appartenenze politiche.
Così a fine luglio, Grasso, per rendersi popolare tra i suoi, ha dato voce ai loro umori dicendo la prima che gli è venuta in testa. Ci vuole -ha sentenziato- un «Senato di garanzia» con funzioni esclusive e non concorrenti. Ossia, par di capire, una riforma che anziché diminuirlo lo esalti. Era consapevole di ciò che diceva? Con lui non si sa mai, infatti è sempre pronto a ritrattare. Fatto sta che l' uscita era il contrario di ciò che vuole Renzi e di quanto finora è stato deciso in Parlamento. Il presidente emerito, Napolitano, c' è andato a nozze.
"Ora me lo lavoro io, questo grillo parlante", si sarà detto gongolando. Ha preso carta e penna e una settimana dopo è uscita la lettera sul Corsera. Il Senato, così come lo conosciamo, -questo il succo dello scritto- è morto, Renzi ha ragione e chi fantastica di «un immaginario Senato delle garanzie», ha le traveggole. Colpito e affondato.
giorgio e clio napolitano lasciano il quirinale 5
Già in passato, Napolitano aveva pubblicamente svillaneggiato l' ex Procuratore nazionale antimafia, finito fortunosamente alla guida del Senato nel marzo 2013. Avvenne nel dicembre dello stesso anno quando i senatori, profittando del clima natalizio, infilarono alla rinfusa emendamenti nel cosiddetto decreto Salva Roma.
Un arraffa arraffa indecoroso che Grasso, nulla capendo, aveva avallato. Napolitano, che era ancora al Quirinale, scrisse allora una lettera indignata - diretta anche a Laura Boldrini, ma indirizzata in verità al solo Grasso - chiedendo più serietà, pena il rifiuto di controfirmare il decreto. Il presidente del Senato, consapevole della figuraccia, tentò di reagire ma fu coralmente zittito.
La ruggine tra i due risale all' estate 2012, Napolitano Capo dello Stato, l' altro alla guida della Procura Antimafia. Per onestà, va detto che il solo col dente avvelenato è il presidente emerito. Grasso, al contrario, farebbe (e ha fatto) carte false per rappacificarsi. Ma non c' è stato verso. Giudicate voi se sia giustificata tanta implacabilità. Ecco il fatto.
L' estate 2012 è quella in cui la procura di Palermo origliò il Quirinale, intercettando Napolitano sulla fantomatica trattativa Stato-Mafia.
piero grasso con moglie inaugurazione anno scolastico 2014
Messo nell' imbarazzo, il Colle pregò il Superprocuratore Grasso di intervenire presso i colleghi di Palermo per fermare la scandalosa ingerenza. Il Nostro però, per quieto vivere, non si mosse, spacciando l' immobilismo per doverosa neutralità.
Il Quirinale se lo legò al dito tanto più che, di lì a poco, la Consulta dichiarò inammissibile lo stalking dei pm panormiti, ordinando la distruzione delle registrazioni. Il colmo fu che, appresa la decisione, l' ineffabile Grasso esclamò entusiasta: «È stata fatta chiarezza», come se fosse sempre stato dalla parte di Napolitano. Ci mise anche il tono trionfante di chi ha vinto una battaglia personale mentre, in realtà, aveva rifiutato di combatterla. Un' ipocrisia al cubo che, come si vede tuttora, Re Giorgio non riesce a digerire.
Il settantenne Grasso, siciliano di Licata, è stato quarant' anni magistrato. Due i suoi grandi approdi: capo della Procura di Palermo, succedendo a Gian Carlo Caselli e Procuratore nazionale Antimafia, soffiando il posto al medesimo. Improvvisamente, quando ancora gli mancavano quattro anni per andare in pensione, lo afferrò la smania della politica. Passò l' estate del 2012 a farsi bello ai Festival dell' Unità, finché in dicembre gli telefonò Pierluigi Bersani, allora segretario Pd, per offrirgli la candidatura a senatore.
piero grasso con moglie inaugurazione anno scolastico 2013
Grasso accettò all' istante ma dichiarò afflitto: «Decisione sofferta». A destra ci rimasero male. Infatti, lo consideravano dei loro poiché a farlo Procuratore Antimafia fu il Berlusca, all' epoca (2005) capo del governo. Le cose andarono così. In lizza c' era anche il favorito, Caselli. Essendo però costui un comunista dichiarato, Fi decise di segarlo. Ci si inventò una leggina che lo escludeva per ragioni di età e consegnava automaticamente la poltrona a Grasso. A cose fatte, la Consulta dichiarò incostituzionale l' inghippo.
Invece di mortificarsi, il superprocuratore Grasso disse: «Sono contento. Era una legge che non ho condiviso». Non la condivideva ma ne aveva approfittato. Silente finché poteva costargli il posto, ciarliero quando non rischiava nulla. Questo è Pietro: una parola per tutte le stagioni, sì, no, ni.
La cosa più notevole che ha fatto da presidente del Senato è quella che il centrodestra chiama la «porcata di Pietro». Ossia la partecipazione attiva, in contrasto con la neutralità del ruolo, alla decadenza fulminea del Cav dal seggio, dopo la condanna definitiva. È stato infatti Grasso, con uno stravolgimento del regolamento, a imporre il voto palese sul destino del Berlusca, impedendo quella libertà di decisione che il voto segreto tutela.
Da allora, con la destra, buongiorno e buonasera.
Grasso è considerato un modesto presidente del Senato. A Palazzo Madama aspettano da decenni capi del prestigio di Amintore Fanfani e Giovanni Spadolini. Uomini che con la sola presenza - dicono i funzionari con un groppo alla gola - avrebbero rintuzzato qualsiasi tentativo di ridimensionare il Senato come ahimè si sta facendo. Con Grasso, i Renzi e Napolitano hanno invece gioco facile. Il personaggio è del tutto impotente di fronte alla posta in gioco. A tal punto inutile che lo chiamano il "Grasso superfluo".
GIANCARLO CASELLI E PIERO GRASSO
Accende invece di più la fantasia la moglie, donna Maria Fedele. La signora è il faro di Pietro. Sposati da decenni, lui non azzarda un passo se lei non lo autorizza. Quando, giovane magistrato negli anni '80, gli fu proposto di fare il giudice a latere nel Maxiprocesso di Palermo, disse prima di accettare: «Ne parlo con mia moglie». Poiché rischiava la pelle con la mafia, il consulto si può capire. Ne ebbe un sì che, nonostante l' apparenza, fu un atto d' amore.
PIERO GRASSO E GIANCARLO CASELLI
Maria Fedele è infatti una donna di convinzioni. Professoressa, si occupa di diffondere «la cultura della legalità nella scuola». Il governatore siciliano, Rosario Crocetta, le offrì un assessorato. Lei, pur dicendosi «molto vicina e sempre pronta a dargli una mano gratuita», declinò per motivi personali.
Da allora, si illustra in Senato dove - a quanto dicono - è l' anima dei numerosi eventi, teatrali e musicali, che si svolgono in Aula il giovedì e il sabato, quando i lavori parlamentari sono sospesi. E così il Grasso superfluo, attorniato dai suoni e dagli attori, si gode felice il malinconico crepuscolo del suo Palazzo.
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