DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
Nicola Lombardozzi per "la Repubblica"
Bisognerebbe cominciare da quelli che l'hanno scampata bella. A lungo a Mosca si era temuto che le sanzioni europee e americane potessero colpire due veri colossi del sistema Putin. Ma a Washington e Bruxelles devono aver prevalso diverse valutazioni perché nella liste nere di politici e militari non c'è traccia né di Igor Sechin, né di Aleksej Miller, entrambi pietroburghesi come il loro amico Putin e veri timonieri dell'economia russa, impegnatissimi a sostenere l'operazione Crimea.
Il primo è presidente del colosso del petrolio Rosneft, l'altro di quello del gas Gazprom. Tirato un sospiro di sollievo, al Cremlino hanno fatto i calcoli dei danni eventuali e dato subito ordine di minimizzare l'accaduto.
à riuscito benissimo all'uomo più brillante e meno conosciuto all'estero, la cosiddetta "eminenza grigia del Cremlino", Vladislav Surkov. Non ha più cariche ufficiali, ma il suo parere sarebbe il più importante nelle stanze delle grandi decisioni. Qualcuno azzarda, «perfino più di quello del presidente in persona». Vedendo il suo nome nella lista di proscrizione Usa, Surkov ha risposto nel suo stile. Prima patriottico: «Lo considero un riconoscimento per quello che ho fatto per il mio Paese». Poi intellettual chic: «Degli Usa mi piacciono solo il rapper Tupac Shakur, Allen Ginsberg e Jackson Pollok. E il visto non mi serve».
Il più alto in carica, tra i "puniti", il vice premier Dmitrij Rogozin, che è anche responsabile delle industrie belliche di Stato, fa addirittura lo spiritoso mandando un messaggio via Twitter al Presidente degli Stati Uniti: «Compagno Obama, e cosa farai con quelli che non hanno conti e proprietà all'estero?».
Ma, nell'ansia di dare una risposta brillante a tutti i costi, Rogozin fa un grave errore dal punto di vista del messaggio interno. Perché sottolinea l'unica vera forza della decisione americana che, al di là degli irrisori problemi tecnici e personali che potrà creare, svela una grave magagna del potere russo.
Da circa un anno infatti una legge anticorruzione, voluta dal Cremlino, proibisce senza eccezioni ad ogni politico e funzionario russo di possedere titoli, depositi o immobili fuori dai confini patrii. Ne era nato un grande dibattito con clamorose decisioni di molti ricchi che avevano scelto di continuare a occuparsi dei propri interessi rinunciando dunque alla vocazione politica.
La lista pubblicata a Washington conferma invece quello che molti russi sanno da sempre. Cioè che nella cerchia ristretta degli amici di Putin si viaggia tranquillamente al di
sopra delle leggi. E la gaffe di Rogozin finisce per sollevare sospetti anche sugli altri. La super protetta Valentina Matvienko, licenziata controvoglia da Putin quando era una disastrosa sindaco di San Pietroburgo e poi reintegrata senza spiegazioni, addirittura come presidente del Senato.
Stesso discorso vale per Elena Misulina, arcigna pasionaria moralista famosa per aver perorato il veto di adozione di bambini russi da parte dei cittadini americani e per aver ideato insieme ad altri la famigerata legge contro la propaganda gay, nel nome della «difesa dei valori della nostra tradizione millenaria». E così è anche per Sergej
Glazjev, economista, nato in Ucraina, e consigliere per gli affari ucraini della Presidenza russa.
Conferme invece per Sergej Zheleznyak, speaker della Duma, da mesi nel mirino del blogger anticorruzione Aleksej Navalnyj che denuncia inascoltato le case e i terreni comprati da Zheleznyak a nome delle figlie in Svizzera e Gran Bretagna. Ma a Navalnyj non basta. Sul suo blog, sospeso perché costretto agli arresti domiciliari ha fatto scrivere a un militante il giudizio dell'opposizione russa: «Ridicole, servono solo a incoraggiare i ladri che si stanno mangiando il Paese».
Vladislav Surkov e Vladimir Putin Dmitrij Rogozin Aleksej Miller di gazprom Igor Sechin di rosneft Jelena Misulina Sergej Zheleznyak Valentina Matvienko
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