DAGOREPORT – MARINA E PIER SILVIO NON HANNO FATTO I CONTI CON IL VUOTO DI POTERE IN FAMIGLIA…
Monica Guerzoni per “il Corriere della Sera”
Finiti nel cul de sac della fiducia, i dissidenti non hanno via di uscita. Per «senso di responsabilità verso il Paese» i senatori «democrat» dell’ala sinistra salveranno il governo e manderanno in soffitta l’articolo 18. Ieri vigilia tormentata del voto di oggi al Senato, con una serie di riunioni sfociate nella stessa, rassegnata ammissione: votare no al segretario-premier del Pd sarebbe uno strappo senza possibile rammendo.
E così il dissenso sembra destinato a restare scolpito su eventuali documenti di bersaniani dialoganti, dissidenti e civatiani, oltre che sui tabulati: se nessuno ha annunciato un «no» forte e chiaro, più di un senatore potrebbe svignarsela al momento della chiama.
Le parole di Corradino Mineo hanno il sapore della rottura, eppure il senatore civatiano sottolinea di aver usato il condizionale quando in tv ha detto «mi alzerei e voterei no alla fiducia, direi a Renzi che lo spettacolo è finito». Ma poi, via sms, Mineo prende tempo: «Vediamo che succede, deciderò... Ma la storia che noi usciremmo dall’aula se la sono inventata i renziani». Eppure è proprio questa la scelta che farebbe Stefano Fassina, deputato, se oggi il dilemma toccasse a lui: «È una ferita profonda per il Pd. Sono solidale con i senatori, ma io uscirei».
Bersani lancia appelli alla responsabilità, intanto però sulla nuova rivista Ideecontroluce.it avverte: «Se diventiamo solo un partito di elettori, chiunque può venire a casa nostra a fare la destra e la sinistra. Attenzione, significherebbe costruire un peronismo all’europea».
Renzi come Perón? C’è anche questo fantasma nel cielo livido del Pd e c’è la lettera-appello di Civati al capo dello Stato contro la «prassi deprecabile» di porre la fiducia su materie «delicate» come il lavoro. Il deputato che non votò la fiducia a Renzi chiede a Napolitano il «richiamo a un maggiore rispetto dei ruoli e delle prerogative istituzionali», smentisce complotti ma conferma che «alcuni senatori non parteciperanno al voto».
Gli indiziati sono Felice Casson, Walter Tocci, Mineo e Lucrezia Ricchiuti, la quale ha detto che voterà sì soltanto «se l’emendamento conterrà passi avanti» rispetto alla delega: «Il mio non è un dissenso che può svanire in 24 ore».
Altrettanto profondo il disagio di Erica D’Adda: «Se non si vota la fiducia si deve uscire dal Pd e questo non lo facciamo». Per quanto riguarda Felice Casson si è aperto invece un caso su un altro argomento. Nella giunta per l’immunità del Senato tutto il gruppo pd ha votato no alla richiesta di utilizzo delle intercettazioni del senatore Antonio Azzollini (Ncd), bocciando così la proposta di Casson, che — da relatore — si era detto favorevole. L’esponente pd si è subito sospeso dal gruppo.
Tornando alla fiducia, ieri anche Vannino Chiti ha riunito 14 dissidenti a lui vicini, convincendoli che «la crisi di governo sarebbe un salto nel buio». Tocci invece non ha deciso, ma il giudizio che scandisce in Aula non suona come il preludio a un sì: «Non si è mai cominciato a cambiare verso. Il rottamatore ha attuato i programmi dei rottamati, di destra e sinistra». Massimo Mucchetti aspetta il testo, ma è «orientato» al via libera. Luigi Manconi, pur convinto che la fiducia sia «un gravissimo errore», si mostra rassegnato a votare con il gruppo. E così Sergio Lo Giudice: «Mi turo il naso...».
I bersaniani — da Cecilia Guerra a Miguel Gotor — si sono visti a Palazzo Cenci e Cesare Damiano è uscito convinto che «nessuno dei nostri metterà in discussione il governo». Farete un documento? «Non escludo nulla» .
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