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Stefano Montefiori per il "Corriere della Sera"
Mille firme contro il campo nomadi. La petizione è aperta da pochi giorni e gli abitanti del XVI arrondissement di Parigi si sono già mobilitati per impedire che il Comune trasformi Square de l'Amiral Bruix, una parte dell'ampia Square Parodi, a due passi dalla ricchissima avenue Foch, in un'area di accoglienza per le roulotte.
A pochi metri ci sono i luoghi dove a fine Ottocento decollavano le mongolfiere, e dove oggi il club Saint James apre le porte a quell'alta borghesia - o aspirante tale - che non disdegna di frequentare locali che si autodefiniscono «esclusivi». In avenue Foch, superato l'Arco di Trionfo verso il Bois de Boulogne, ci sono le grandi ville dei Rothschild e di Leila Trabelsi, la moglie del dittatore tunisino Ben Alì sorpresa dalla primavera araba appena prima del trasloco.
I palazzi che si affacciano nella meno internazionale Square de l'Amiral Bruix non ospitano magnati russi ma francesi benestanti e spesso conservatori, felici di abitare in uno dei quartieri più sicuri d'Europa. Poco lontano, al Bois de Boulogne, lo stesso strato sociale è in lotta contro la costruzione della Fondazione Louis Vuitton per l'arte contemporanea, affidata da Bernard Arnault all'archi-star Frank Gehry; non va bene la troppo audace «nuvola di vetro» di Gehry, figurarsi il campo nomadi.
«à l'ultima vendetta del sindaco socialista Bertrand Delanoë, furibondo perché non è andato in porto il suo progetto di area d'accoglienza vicino all'ippodromo di Longchamp», dice il sindaco del XVI arrondissement, Claude Goasguen, ex ministro del governo Juppé e uomo forte dell'ala liberale della maggioranza al potere.
Al Comune di Parigi, i collaboratori di Delanoë negano che al fondo dell'idea ci sia una forma di lotta di classe, di odio anti ricchi o anche solo di battaglia politica: «Dal 2000 la legge obbliga ogni comune a prevedere dei luoghi per ospitare le roulotte - spiega Olga Trostiansky, responsabile della solidarietà e della lotta all'esclusione -. Parigi dovrebbe garantire accoglienza ad almeno 200 persone, e a distanza di 12 anni da quella legge siamo ancora a zero. Ci lamentiamo tanto degli zingari che vivono nell'illegalità , ma da oltre dieci anni nell'illegalità c'è pure il comune di Parigi».
Chiedere un parere agli abitanti di boulevard de l'Amiral Bruix è comunque istruttivo: «Non siamo tutti ereditieri o figli di miliardari - dice Charles Le Brun, 65enne agente di commercio - qui c'è gente come me che ha messo da parte soldi per una vita per potere vivere in sicurezza e in una bella zona di Parigi. à qualcosa di cui vergognarsi? Non credo. E secondo lei la mia casa varrà la stessa cifra, o la metà , se tra sei mesi in piazza ci saranno le roulotte al posto degli scivoli per i bambini? E nel IV arrondissement, nel Marais dei ricchi di sinistra, lei ha mai visto dei campi nomadi? E crede che se qualcuno lo proponesse, gli zingari sarebbero accolti a braccia aperte, o partirebbero le petizioni anche lì?».
La vicenda è resa più complicata - e interessante - dal fatto che si incrociano caratteristiche e ipocrisie tipiche della società francese. Per esempio, il fatto che il campo nomadi non sia destinato ai «Rom», o agli «zingari», ma alla categoria molto politicamente corretta e altrettanto evanescente chiamata «gens du voyage», individuata con una legge del 1969 e due decreti del 1972: da non confondersi con i travellers irlandesi, le gens du voyage sono in teoria tutti i cittadini francesi senza dimora e impiego fissi, in pratica molti Rom con passaporto francese, non altrimenti identificabili perché la Costituzione francese non prevede la nozione di minoranza etnica. A 100 giorni dalle elezioni presidenziali, le carovane delle gens du voyage all'Arco di Trionfo si annunciano come una bella sfida per tutti i candidati.
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