DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA…
Daniele Mastrogiacomo per “la Repubblica”
JOAO SANTANA - LULA - DILMA ROUSSEFF
La nuova accusa ha la forza di un pugno e potrebbe costargli l’arresto. Riciclaggio e occultazione di beni: “lava” i soldi ricevuti in nero sotto forma di tangente. Nella sede della Fondazione intitolata al padre del Brasile moderno si fatica a rintuzzare le proteste e gli insulti che fioccano sulla rete. Nella palazzina bianca, a due piani, immersa nel quartiere bene di Ipiranga, gli impiegati lavorano silenziosi ma con gli sguardi carichi di ansia.
Qui, davanti all’ingresso in ferro battuto, ora presidiato da tre addetti alla sicurezza, venerdì scorso si è svolta la battaglia tra sostenitori dell’ex presidente e contestatori. Spintoni, qualche schiaffo, le aste delle bandiere che colpivano gli avversari. Fino all’intervento della polizia che a suon di manganellate e qualche lacrimogeno ha riportato la calma e diviso i contendenti.
Con la richiesta di arresto preventivo della magistratura la situazione potrebbe esplodere di nuovo. José Chrispiano, portavoce dell’Istituto, scorre lo schermo del cellulare che non abbandona mai. Notizie sempre più fosche, come l’ultima incriminazione da parte di una seconda Procura, quella di San Paolo, e parallela a quella di Curitiba con cui potrebbe avere un conflitto di competenze. Riguarda un attico su tre livelli, 216 metri quadrati affacciati sul mare di Guaruja, che Lula avrebbe acquistato a un prezzo di favore da José Adelmaria Pinheiro, l’allora presidente della Oas, seconda industria delle costruzioni del Brasile.
Anche questa è coinvolta nelle indagini “Lava jato”, la “mani pulite” brasiliana. Il fondatore del Partido dos Trabalhadores ha sempre negato la circostanza. Ma i magistrati, grazie alle ammissioni di molti imputati e alle intercettazioni, avrebbero trovato le prove che hanno poi portato alla nuova incriminazione. Se ne parlerà il 17 marzo, quando il procuratore generale brasiliano Casio Conserino interrogherà Pinheiro e lo metterà a confronto con lo stesso Ignacio Lula da Silva.
Nell’Istituto Lula tutto sembra essersi fermato. Si attende. Un annuncio, una mossa, un’iniziativa. Il leader del Pt è a Brasilia, dalla presidente Dilma. Alle pareti ci sono le sue foto e quelle dei cinque figli, della moglie, dei nipoti. Le sue carte, i suoi libri. La mappa su cui sono segnate con puntine rosse, blu e verdi, le altre sedi sparpagliate nel mondo. Un grande progetto di solidarietà internazionale. Che adesso sembra naufragare davanti ai 2.400 milioni di euro in tangenti incassati dalla Petrobras, colosso energetico statale, e dirottati verso il partito e decine di dirigenti negli anni della presidenza targata Pt.
La battaglia su Lula si combatte sui giornali e sulla rete. Filtra la proposta di proporre il padre del Brasile moderno come ministro. Sarebbe messo al riparo dall’arresto dato per imminente e che la procura ha chiesto per evitare che “inquini” le prove. Non un ministro qualsiasi. Ministro della Giustizia: la poltrona bollente appena lasciata da José Eduardo Cardozo, accusato di non essere riuscito a frenare l’inchiesta e il blitz a casa dell’anziano leader socialista.
«È solo una voce velenosa», replica indignato José Chrispiano. Gli mostriamo la raffica di messaggi e di tweet che travolgono la rete. Fa spallucce. Il fronte omertoso si sta sfaldando. Chi parla ha la pena ridotta. È deciso a collaborare anche Marcelo Odebrecht, erede di uno delle più grandi imprese di costruzioni di tutta l’America Latina. Si è appena beccato 19 anni e 4 mesi per aver tenuto la bocca chiusa. Conosce molto bene i meccanismi delle tangenti della Petrobras.
DILMA ROUSSEFF E LULA DA SILVA
Se parla lui, crolla il mito. Eppure il 64 per cento, secondo ultimi sondaggi, è convinto che Lula fosse all’oscuro di tutto. Il Brasile ha bisogno di credere nella storia di chi lo ha reso grande. Deve illuminare un periodo fosco e duro. Recessione (-3,8 per cento del Pil), raffica di licenziamenti, crollo del prezzo delle materie prime, produzione in affanno, agricoltura soffocata per la crisi idrica e la caduta della soia, fuga degli investitori stranieri. Forte debito pubblico, scelte economiche sbagliate. E poi le Olimpiadi alle porte viste come un problema più che una boccata d’ossigeno.
DILMA ROUSSEFF E LULA FOTO LAPRESSE
Mai come in questo momento il Brasile è spaccato in due. Domenica ci saranno manifestazioni contrapposte. Basta una scintilla per accendere l’incendio. Ma studiosi ed esperti avvertono preoccupati: nella storia del paese chi ha spento le fiamme alla fine sono stati sempre i militari.
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