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Stefano Righi per “CorrierEconomia - Corriere della Sera”
Sugli ormai celebri costi della politica abbiamo assistito alle esercitazioni più fantasiose. Politologi, esperti di ogni ordine e grado, perfino le organizzazioni sindacali si sono misurati con l’ardua impresa di definirne i confini. Gli unici dati certi e affidabili sono quelli che ci dà la Corte dei conti, premettendo pur sempre che non esiste né una loro «definizione univoca» né tantomeno una «quantificazione condivisa».
Il costo degli apparati centrali dello Stato (con questi intesi Camera, Senato, Quirinale, Palazzo Chigi…) si aggirano intorno ai 3 miliardi di euro l’anno. Altrettanti li spendiamo per il mantenimento delle strutture politiche locali, cioè quelle di Regioni, Province e Comuni. Totale, 6 miliardi: e senza considerare l’immenso indotto che questo genera. Troppo, dicono i giudici contabili. Troppo in valore assoluto.
Ma troppo anche in rapporto alla spesa di altri Paesi europei rapportabili all’Italia, quali per esempio la Germania o la Gran Bretagna. E questa non è una notizia. Lo è invece il fatto che nonostante tante promesse quei costi non stiano affatto scendendo con la velocità che sarebbe necessaria. Anzi. In qualche caso continuano pure a crescere.
I compensi e i rimborsi spettanti ai deputati e ai senatori, per esempio. La Corte dei conti calcola il totale in 447 milioni nel solo scorso anno, segnalando che la somma risulta in aumento di otto milioni di euro nel confronto con l’anno precedente. La causa non sono però gli stipendi degli onorevoli, quanto piuttosto i vitalizi degli ex, che assorbono ormai metà dell’intera cifra.
Per un totale, fra Camera e Senato, di ben 220 milioni di euro. Ed è questo un costo che se Dio vuole ci trascineremo dietro per chissà quanti anni, grazie al meccanismo dei cosiddetti diritti acquisiti che non consente ancora di intervenire sulle posizioni previdenziali maturate prima delle ultime riforme in senso contributivo varate anche per le due Camere.
Poi c’è tutto il resto dell’esercito, sterminato, degli eletti. Nemmeno i magistrati contabili riescono a dirci quanto li paghiamo. Sappiamo però che sono ben 145.591, di cui 1.041 deputati, senatori ed europarlamentari, 1.270 nelle Regioni, 3.446 nelle Province, 138.834 nei Comuni: dove ovviamente i compensi sono tranne rari casi modestissimi.
Per avere un’idea, basti considerare che gli apparati politici dei Comuni (comprese loro Unioni e le comunità montane) con quasi 140 mila eletti, sono costate 1,7 miliardi. Mentre per le Regioni, con 1.270 fra presidenti, consiglieri e assessori, ovvero nemmeno un centesimo del personale politico comunale, abbiamo speso più di un miliardo di euro, cifra superiore a quella necessaria al mantenimento della Camera dei deputati.
Ancora. Secondo la Corte dei conti nel 2013 le spese della presidenza del Consiglio sono lievitate dell’11 per cento. Toccando 458 milioni. Al contrario, quelle di Montecitorio e di palazzo Madama sono diminuite rispettivamente del 5 e del 4 per cento, attestandosi sui 943 e 505 milioni. Anche se, sottolineano i giudici di viale Mazzini, «in realtà la parte cospicua delle riduzioni è relativa al taglio dei rimborsi elettorali destinati ai partiti politici, in riduzione del 50 per cento rispetto al 2012».
Decisamente impressionante, inoltre, ha continuato a essere il peso economico «politico» dei ministeri. Leggiamo che cosa scrive la Corte: «I costi per il funzionamento dell’indirizzo politico dei ministeri, che comprende esclusivamente i costi di funzionamento dei Centri di responsabilità amministrativa quali gli Uffici di gabinetto e gli Uffici di diretta collaborazione del ministro (staff) hanno comportato una spesa di oltre 200 milioni».
Inevitabile una considerazione finale, che riguarda ovviamente il complesso di tutta questa macchina obesa: «Ne consegue l’esigenza, non ulteriormente procrastinabile, di un’adozione di misure contenitive coerenti». Auguri.
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