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IN DION (MARK) WE TRUST! ALLA WHITECHAPEL GALLERY DI LONDRA IN MOSTRA LE INSTALLAZIONI DELL’ARTISTA AMERICANO – RIELLO: NELLE SUE OPERE COMBINA REPERTI, DOCUMENTI, FOTO E ELEMENTI NATURALI. L'ATMOSFERA È QUELLA DI UN MISTERIOSO LABORATORIO DOVE LA VERITÀ È QUELLA DELL'ARTE E LA FINZIONE APPARTIENE PIUTTOSTO ALLA SCIENZA…

Antonio Riello per Dagospia

 

mark dion

La Whitechapel Gallery, uno dei capisaldi del sistema pubblico dei musei londinesi,  si trova nel cuore dell'East End, una zona che ha sempre avuto una forte connotazione popolare. Nel bene e nel male è sempre stata la parte più verace della città. In un certo senso è sua "pancia", dove si trovavano i malsani slums operai descritti da Dickens e dove il famigerato "Jack the Ripper" commetteva i suoi delitti.

 

Questo spazio, diretto dalla dinamica Iwona Blazwick, ospita adesso una mostra personale di Mark Dion. E' un artista americano nato nel 1961che vive e lavora a New York e la cui moglie, Dana Sherwood, gli fa contemporaneamente da musa ispiratrice, complice creativo ed assistente. Quasi come se lavorassero "a quattro mani" (sul genere Christo/Jeanne-Claude).  

 

Dion è considerato in certi ambienti un vero e proprio mito in quanto ha saputo rappresentare, meglio probabilmente di chiunque altro nel  mondo dell'Arte Contemporanea, le istanze che fanno capo alla sostenibilità e all'ecologia. E' essenzialmente un "naturalista" che con acuta ed impegnata sensibilità, associata ad metodo rigoroso, mette in scena sul palco dei musei e delle gallerie il dramma di una Natura continuamente calpestata e vessata. Lo fa con la disciplina meticolosa di un ricercatore scientifico, il piglio visionario di un vero umanista e un talento ammirabile. Un Charles Darwin delle Arti Visive insomma che organizza spedizioni, ricerche sul campo e pure esperimenti.

 

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Con le sue opere indaga il "come" e il "perchè" della metodologia scientifica e della conservazione museale (della quale è diventato comunque un esperto riconosciuto). E' sempre stato ossessionato, in modo speciale, dalle raccolte e dalle collezioni. All'inizio della sua carriera ha collezionato di tutto (posters, carte da gioco, farfalle, tappi di bottiglia) e ne ha fatto, con grande intelligenza, l'oggetto della sua pratica artistica. C'è chi per lui scomoda l'abusato termine WunderKammer  (questa volta però con ragione !). Ma forse la migliore definizione potrebbe essere quella di  "Antropologia Museale".

 

Durante il periodo dell'Illuminismo si inizia a sistematizzare la Natura, ovvero a organizzare piante, animali e minerali secondo degli schemi. Con la costruzione della Scienza Tassonomica si creano (più o meno correttamente) legami e "parentele", insomma si mette in piedi una "struttura". Si fa questo a partire proprio dalle collezioni naturalistiche. Collezionare vale a dire anche (soprattutto) poter classificare.

 

Classificare, mappare e ordinare (ovvero conoscere) significa esercitare una forma di potere e dunque dominare. La collezione di minerali non è sempre una cosa così innocente come potrebbe sembrare dunque. L'imperialismo e il colonialismo europeo dell'ottocento riflettono esattamente questa attitudine culturale e partono dagli stessi presupposti. Questo è il tempo (non certo casualmente) nel quale in Europa vengono fondati i grandi musei di Storia Naturale.

 

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"Hunting Blinds", una serie di lavori del 2008, è ispirata ai capanni di caccia che si trovano nelle campagne inglesi. La caccia, vista  paradossalmente come una pratica "naturalistica", è un tema che spesso influenza e contamina le sue installazioni. In pratica si tratta di piccoli ambienti con un esterno più o meno mimetico rispetto all'esterno e una parte interna e privata. L'artista in quest'ultima parte  esplora tutte i possibili aspetti ambiguamente legati ai concetti di "tradizione", "comfort", "domesticità" e "intimità".

 

E naturalmente non mancano volpi e cervi impagliati, scaffali e mensole piene di tanti bei libri rilegati, coppe e premi sportivi; insomma tutta la parafernalia classica del gentleman  britannico. L'artista riesce ad omaggiare con reverenziale affetto perfino il grande documentarista britannico Sir David Attenborough.

 

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Sono riprodotti interni riccamente decorati con oggetti, fotografie, documenti e carte da parati. Temi ed iconografie tipicamente di sapore ottocentesco (legate all'idea britannica/nordamericana di "countryside") che riportano in realtà alle emergenze ambientali di oggi. E purtroppo anche a quelle di domani.

 

L'opera "Bureau for the Centre of the Study for Surrealism and its Legacy" (2002) è invece direttamente in rapporto all'esperienza delle avanguardie artistiche parigine e in particolare al Surrealismo. Antonin Artaud e il suo "Bureau of Surrealist Enquiries" sono infatti il riferimento storico di Dion in questo caso che raccoglie, classifica e immagazzina una serie disparata di oggetti ed utensili che sono, almeno in apparenza, "inclassificabili" e al limite dell'assurdo. Cercare di ordinare qualcosa che è caotico è proprio la missione principale della Scienza, per Dion è la stessa cosa anche per l'Arte. Tutto sembra (con grande sollievo) tornare alla fine, anche se si parte inizialmente da una inesplicabile incertezza e una radicale confusione.

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"Tate Thames Dig" (1998-2000) ha una cifra espressamente archeologica e propone una grande quantità di reperti di ogni genere e tipo (chiodi, pipe, telefonini, ossa, orologi da polso, stoviglie, monete e molto altro ancora) trovati da volontari londinesi coordinati da Dion nel corso del 1998/99 sulle rive del Tamigi proprio di fronte all'edificio della Tate Modern. Quando il livello del fiume si abbassa di molto è facile trovare in mezzo al fango e ai ciotoli del fondo quello che i londinesi hanno perso o buttato via. Qui la storia materiale della città diventa quasi epica sociale e grande performance collettiva che ha coinvolto nella fase di realizzazione centinaia di persone. Mappe e diagrammi danno efficacemente un'aria seria, rassicurante e scientifica all'intera faccenda.  

 

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Quella di "The Wonder Workshop" (2015) è senz'altro  l'immagine che meglio si imprime nella memoria del visitatore: tanti piccoli reperti (forse manufatti artificiali, forse frammenti frutto di processi naturali, forse inventati apposta, non si saprà mai...) sono illuminati da una inquietante fluorescenza all'interno di apposite teche. L'atmosfera è quella di un misterioso laboratorio dove la verità è quella dell'arte e la finzione appartiene piuttosto alla scienza. Mi è venuta in mente guardandolo qualche scena del film "The Shape of Water" di Guillermo del Toro.

 

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Dion non ha comunque in genere bisogno di effetti speciali o di una tecnologia sofisticata. Un adorabile uccellino imbalsamato che cinguetta quando qualcuno si avvicina è il massimo dei trucchi a cui ricorre. Piuttosto è uno che trasforma la pedanteria classificatoria in uno speciale tipo di virtù. Padroneggia la capacità di rendere, con grande appeal visivo, i complicati processi dell'immaginario scientifico. E sembra esserne, a sua volta, sinceramente affascinato.

 

 

 

 MARK DION: THEATRE OF THE NATURAL WORLD

Whitechapel Gallery

77-82 Whitechapel High Street

mark dion

Londra E1 7QX

dal 14 Febbraio al 13 Maggio 2018