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Fabio Martini per “La Stampa”
Senza giacca, in maniche di camicia bianca, gli occhi dentro le telecamere per “guardare” negli occhi i telespettatori, alle otto e mezzo della sera Matteo Renzi ricompare in tv per fornire la sua versione dei fatti sull’Italia che arranca, su Mario Draghi che invita il governo a fare riforme vere. Con l’arte dell’affabulatore, Renzi prova a “sminare” il presidente della Bce, “abbracciandolo”: «Sono assolutamente d’accordo con Draghi, ha detto una cosa sacrosanta, noi dobbiamo rimettere in ordine l’Italia per farla diventare più competitiva».
Minimizza l’ingresso in recessione: «Negli ultimi anni l’Italia ha avuto il segno meno per 11 trimestri, tranne una pausa. Dalla recessione non siamo mai usciti tecnicamente». Fa capire che non è più tempo di rinviare i tagli della spesa pubblica, tante volte promessi: «Nel 2015 riduciamo ulteriormente la pressione fiscale» e dunque «ci sarà una manovra di taglio alla spesa. E alla fine pronuncia una frase che segnala un Renzi un po’ meno spavaldo del solito: «Ho promesso di cambiare verso, non l’universo».
Nelle ultime 48 ore, le più difficili da quando è a palazzo Chigi, il mago della comunicazione Matteo Renzi ha faticato a calibrare una reazione forte, che non fosse il consueto «faremo». Due giorni fa, appena usciti i dati Istat, Renzi aveva preferito non mostrarsi in tv, ma ieri mattina ha fatto sapere a quelli di “In Onda” che era disponibile ad accettare un precedente invito.
Dopo l’ingresso in recessione sancito dai dati Istat, quella di ieri è stata un’altra giornata molto difficile per Matteo Renzi. Segnata da due passaggi hard. La conferenza stampa di Mario Draghi al termine del Consiglio direttivo della Bce. Ma anche il difficile passaggio parlamentare del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che chiamato a riferire su conti pubblici, si è impegnato in una difesa politica a tutto tondo della “linea” del governo, ma la difesa di chi non sta dentro il mood renziano.
Esattamente su questo fronte da qualche giorno c’è una novità. Tra il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia, dopo una stagione iniziale di collaborazione e di simpatia tra diversi, è in atto un forte raffreddamento nei rapporti. Anche se Padoan - confermando in questo di essere un tecnocrate con tatto politico - non lascia trasparire nulla di questa difficoltà comunicativa.
Una lealtà che ha segnato il rapporto tra i due sin dalla fase iniziale, in particolare nei giorni durante i quali, il governo doveva decidere se investire la propria “dote” sugli sgravi Irpef o sull’Irap. La “strana coppia” per i primi mesi ha lavorato d’intesa, con Renzi che si produceva in battute sulla fede romanista del suo ministro e con Padoan che sorrideva.
MATTEO RENZI E PIERCARLO PADOAN
Nel corso dell’ultimo mese, alcune delle scelte di palazzo Chigi, non hanno trovato Padoan perfettamente allineato, dal caso Cottarelli al moltiplicarsi del «deficit spending», pratica antica della Prima Repubblica. E del disagio di Padoan oramai si parla, sottovoce, tra i diversi ministri e ne è a conoscenza il Capo dello Stato che informalmente si tiene informato sui principali dossier del Paese. Ieri sera Renzi ha negato: «Con Pier Carlo discutiamo solo di calcio».
Ma dopo quasi sei mesi, in giro per il mondo cominciano ad affiorare perplessità non tanto sulle promesse di riforme radicali, quanto sulla loro attuazione. Sulle prime pagine del Financial Times, Wall Street Journal e sulla versione globale del New York Times, l’Italia è descritta come malato d’Europa in recessione «cronica», mentre la gelata del Pil segnerebbe «la fine della luna di miele» fra Renzi e il Paese. In particolare il Wall Street Journal sottolinea il punto debole: molte parole, poche riforme strutturali.
MATTEO RENZI E PIERCARLO PADOAN
E proprio negli Stati Uniti si trova l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Interpellato da “La Stampa”, Tremonti si riserva di esprimere più avanti un giudizio complessivo, ma in compenso racconta di aver ascoltato «da un’autorevole personalità americana», un apologo che - sia pure con una punta di humour - si può applicare all’Italia: «Ad ogni cambio delle consegne tra governi, il nuovo riceve dal vecchio quattro file. Nel manuale d’uso è scritto: alla prima crisi aprire il primo file. Si apre il file è vi è scritto: dare la colpa al precedente governo. Seconda crisi, secondo file: dare la crisi al Parlamento. Terza crisi, terzo file: dare la colpa all’Europa. Alla quarta crisi, si apre il file è si trova scritto: preparare i quattro file».
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