HILLARY FOR (VICE) PRESIDENT - IN PRIMAVERA OBAMA DECIDERÀ SE PENSIONARE BIDEN E CANDIDARE LA CLINTON COME SUA VICE - A SPINGERLO VERSO LA STREGA HILLARY, SONO I DEMOCRATICI CHE TEMONO UN EFFETTO VALANGA, TRA LA POCA POPOLARITÀ DEL NEGRITO E LA DETERMINAZIONE DELLA BASE REPUBBLICANA A SCONFIGGERLO - LA EX FIRST LADY HA INVECE LA CAPACITÀ DI GALVANIZZARE LA BASE E RIPORTARE A CASA I VOTI DELLE DONNE E SOPRATTUTTO DEI MODERATI…

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Paolo Mastrolilli per "La Stampa"

Il presidente Obama non ha ancora deciso se Joe Biden sarà il suo vice alle presidenziali dell'anno prossimo. La scelta verrà fatta all'inizio della primavera, in base alla situazione nei sondaggi e al nome del candidato repubblicano. Se queste condizioni richiederanno un cambio di passo, il capo della Casa Bianca potrebbe ancora chiedere a Hillary Clinton di correre al suo fianco. Sono ipotesi che trapelano da fonti interne alla sua campagna, insieme ad analisi sullo stato della sfida elettorale.

Il fronte su cui Obama non ha problemi è quello dei soldi: ne ha raccolti più di tutti i rivali repubblicani messi insieme, tanto attraverso le piccole donazioni, quanto attraverso i Super Pac, cioè i comitati paralleli alla campagna ufficiale, che consentono ai finanziatori più ricchi di mettere qualunque cifra a disposizione dei candidati. La sfida più difficile, invece, è quella di galvanizzare i militanti e gli elettori, affinché vadano alle urne e portino altre persone.

I sondaggi interni rivelano che Barack ha perso consenso in tutti i gruppi che nel 2008 lo avevano spinto alla vittoria, tranne gli omosessuali. L'errore principale che gli viene rinfacciato è quello di non aver approfittato della maggioranza democratica in Congresso per cambiare il mondo della finanza e riformare sul serio il sistema bancario.

La scelta di Larry Summers come principale consigliere economico, preso fuori dal gruppo ristretto della sua campagna per tranquillizzare l'establishment, è considerata una delle cause che hanno frenato Obama. Ora quindi deve recuperare terreno, soprattutto tra i giovani, le donne, gli indipendenti e la minoranza ispanica, sempre più importante negli stati chiave del Sud-Ovest.

La strategia punta tanto alla difesa delle posizioni tra i vari gruppi elettorali, quanto alla mappa degli Stati. Sul primo punto, l'obiettivo è contenere le perdite entro il 10% dei consensi per ogni gruppo: in base ai calcoli fatti dai guru della campagna, questo calo gli consentirebbe ancora di prevalere, in una sfida che sarà comunque un testa a testa. Tra gli stati chiave, i consiglieri ritengono molto difficile conservare Indiana, North Carolina e Virginia.

Ohio e Pennsylvania sono in bilico, mentre il Michigan è recuperato, grazie agli interventi in favore dell'auto. Quello che perderanno a est, i democratici sperano di recuperarlo ad Ovest. L'Arizona, per esempio, è uno degli stati che sperano di portare via ai repubblicani, grazie al voto ispanico. Il tema chiave è l'economia, ma il rischio più grave è fuori dal controllo di Obama: un collasso dell'Europa, che annullerebbe i timidi progressi registrati negli Usa durante le ultime settimane.

Se potessero scegliere loro l'avversario, oggi i consiglieri del presidente prenderebbero Gingrich. È intelligente e pieno di idee, ma il suo bagaglio politico e personale lo espone ad attacchi facili, mentre la sua organizzazione e i suoi finanziamenti non sono solidi come quelli di Romney. Durante tutti gli alti e bassi delle ultime settimane nel campo repubblicano, l'idea dei democratici è rimasta sempre che chiunque andrebbe meglio dell'ex governatore del Massachusetts.

È vero infatti che Romney non è amato dai conservatori, ma se supera lo scoglio delle primarie anche i Tea Party correranno a votarlo, per l'odio che nutrono nei confronti di Obama. A quel punto, però, lui sarebbe molto più attrezzato di tutti gli altri candidati del Gop per conquistare il voto moderato e battere Barack, anche perché non ha scheletri nell'armadio così paurosi da abbatterlo.

L'incubo dei democratici è che si crei un effetto valanga, tra la poca popolarità di Obama nei gruppi che lo sostengono, e la determinazione della base repubblicana a sconfiggerlo. Se questo accadesse, anche la maggioranza al Senato, oltre alla Casa Bianca, andrebbe in fumo. Perciò, se a marzo la situazione apparirà davvero complicata, il presidente potrebbe chiedere a Biden di lasciare il posto ad Hillary. Non perché non sia bravo, ma perché la Clinton ha la capacità di galvanizzare la base e riportare a casa i voti delle donne e dei moderati. La salvezza di Obama, in sostanza, dipenderebbe dalla rivale che ha sconfitto nel 2008.

 

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