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Francesco Bei per "la Repubblica"
Giulio Tremonti assiste con distacco ai tentativi del premier di ri-accreditarsi in Europa. Seduto sull´argine del fiume, osserva e non si muove. «Quella lettera non è mia, facciano come vogliono», raccontano abbia detto dopo aver letto il documento elaborato a palazzo Grazioli. Troppo generico e insieme troppo ambizioso per un governo che non ha più il fiato per andare avanti.
Del resto la debolezza della maggioranza, ieri andata sotto sia alla Camera che al Senato, fa apparire gli impegni presi dal premier con l´Unione europea ancora più irraggiungibili. Senza contare che le voci su un patto tra Bossi e Berlusconi per andare al voto in primavera, nonostante le smentite, hanno agitato decine di peones del Pdl, certi di non essere più rieletti. Alimentando nuovamente l´attesa per un governo tecnico che conduca in porto la legislatura.
Così, se è vero che il portavoce del ministro smentisce come «ricostruzioni fantasiose» quelle che descrivono un Tremonti scettico sulla lettera e isolato, nelle conversazioni private il titolare dell´Economia manifesta tutto il suo pessimismo. Soprattutto per il timore di un micidiale attacco speculativo sull´Italia, per niente scongiurato dalla «letterina» del premier.
La sfiducia nei confronti di Berlusconi è ampiamente ricambiata dal Cavaliere. Il quale, dopo il buon esito della trasferta a Bruxelles, si sente per la prima volta affrancato dalla tutela subita in tutti questi mesi dal ministro dell´Economia. «Tremonti - sostiene in privato il premier - non è più il garante dei mercati, ormai è con me che dialogano le istituzioni europee».
La partita finale si è giocata proprio sui contenuti della lettera d´intenti presentata in Europa, un vero documento programmatico che si sovrappone e sostituisce quelli elaborati dal ministro dell´Economia. Ma la novità non è soltanto nel «ridimensionamento» del ruolo di Tremonti che Berlusconi è convinto di aver ottenuto.
Il vero cambiamento, avvertono i ministri del Pdl che hanno seguito da vicino la trattativa, sta nell´atteggiamento della Lega nei confronti di quello che finora è sempre stato considerato come l´alleato più prezioso.
Frutto di questo convincimento è la confidenza fatta da Berlusconi, prima di partire per Bruxelles, a uno dei suoi: «Tremonti ha stancato anche la Lega, ormai l´unico che lo difende è rimasto Bossi. Ma con sempre minore convinzione». Un ragionamento che porta a una conclusione drastica: «Se non fosse per Bossi l´avrei già sostituito». Gli indizi di un cordone sanitario alzato intorno a Tremonti comunque ci sono tutti.
La "lettera" è infatti il frutto del lavoro principalmente di tre ministri: Paolo Romani, Renato Brunetta e Maurizio Sacconi. I primi due certamente non amici del titolare dell´Economia. Sta di fatto che a Tremonti il documento da spedire a Bruxelles è stato fatto leggere solo martedì sera, a cose fatte.
A indispettirlo maggiormente pare che sia stato il capitolo sulle privatizzazioni di Stato, che Tremonti teme possa risolversi in una predazione dei pochi gioielli di famiglia rimasti: Eni e Finmeccanica su tutti. «Si rischia un nuovo "Britannia" - ragiona un uomo del Pdl che condivide le preoccupazioni del ministro dell´Economia - e anche questa volta, come fu per le privatizzazioni del â92, il protagonista occulto è sempre lo stesso: Mario Draghi».
E tuttavia, al di là dello scontro con Tremonti, nessuno nel governo crede davvero che la legislatura possa arrivare alla sua conclusione naturale. Lo stesso Angelino Alfano, in una riunione tenuta ieri a via dell´Umiltà con ministri e dirigenti del Pdl, ha detto "apertis verbis" che lo scenario più probabile è quello di elezioni nel 2012, invitando tutti a «serrare i ranghi».
Ma è proprio il timore delle urne a spingere i frondisti del centrodestra a rialzare la testa. Ieri pomeriggio si sono riuniti gli scajoliani, al Senato Beppe Pisanu e altri dieci sono pronti a muoversi. E proprio sul decreto sviluppo, che arriverà a palazzo Madama, i ribelli potrebbero compiere il loro blitz e arrivare alla rottura definitiva. Ma il tempo sta scadendo, la finestra per formare un governo tecnico sta per chiudersi. «Restano pochissimi giorni», li ha avvertiti ieri Casini, poi le elezioni saranno ineludibili».
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