DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Paolo Massobrio per “la Stampa”
Alzi la mano chi non ricorda il risotto cucinato da Vissani a «Porta a porta» con Massimo D’Alema. Fu un siparietto di enogastronomia politica (era il 1997) che celava una realtà: Vespa e l’allora leader del Pds sono appassionati di cibo e vino più di quanto si potesse immaginare. Oggi i due sono diventati colleghi, giacché Bruno Vespa ha iniziato a fare il vino in Puglia, mentre D’Alema, che è pugliese, si è accasato in Umbria.
In comune hanno l’enologo, Riccardo Cotarella, che è anche presidente della categoria. Un numero uno, per alcuni; un enologo che non è mai stato nelle corde (o meglio nel bicchiere) di chi scrive, anche se è bravissimo e a volte insuperabile. A Cotarella si imputa di aver «merlottizzato» l’Italia, usando il vitigno internazionale merlot (ma anche il cabernet), per costruire vini piacioni. Ma anche qui la verità sta nel mezzo, perché pure coi vitigni autoctoni ci sa fare.
Ma non è di Cotarella che vogliamo parlare, perché il vino non dev’essere espressione di un tecnico ma di chi lo ha concepito: Linda Giuva in D’Alema in primis, che poi ha trascinato dentro l’avventura nel 2009 anche i figli Giulia e Francesco. Al marito, per assecondare questa passione, avrebbe chiesto di vendere la leggendaria barca, dopodiché tutti a terra e in Umbria per due motivi. È vicina a Roma e lì Massimo, coi pantaloni corti, faceva le vacanze.
Bruno Vespa, invece, complici amici vignaioli veneti, da un anno è proprietario di una tenuta a Salice Salentino: «Mai e poi mai avrei immaginato di fare il vignaiolo – confessa – come mai penserei di far politica». Ma alla prima passione ha ceduto; per la seconda, avendo da poco compiuto 70 anni, ha sempre tempo.
Vespa il vino in maniera seria lo ha scoperto nel 1980 con Luigi Veronelli, che è stato il maestro di noi tutti, dai cinquant’anni in su, che scriviamo di cibi e vini. E come Veronelli, lui assaggia un vino diverso tutti i giorni, schernendosi a dire che non è un esperto. Linda e Massimo, invece, prima di fare il passo della produzione diretta hanno studiato in tutti i modi il pianeta vino, incontrando produttori, confrontandosi con enologi e tecnici della vite e assaggiando molto.
Rivelatrice fu una sera di 12 anni fa, all’Hostaria dell’Orso a Roma, dove era appena approdato Gualtiero Marchesi: io e Massimo Gramellini a un tavolo, i D’Alema a quello accanto... che bevevano decisamente bene. «Produciamo vino - risponde Linda – per il piacere del vino». E lo dice con un entusiasmo quasi fanciullesco e una gentilezza fuori dal comune.
Dev’essere stata lei a mandare il marito dietro il banchetto di un sagra estiva dove - ahimè - i vini si assaggiavano nei bicchieri di plastica. Ma alla sera è tornato a casa con un bel risultato: 74 bottiglie di spumante e 82 di rosso vendute, e tanti complimenti. Be’, per i Vip i complimenti si sprecano, e alla cena di gala del prossimo Merano Wine Festival il brut che serviranno, guarda un po’, è quello di Bruno Vespa.
MASSIMO D'ALEMA E MOGLIE LINDA GIUVA - Copyright Pizzi
Ma che vini hanno deciso di fare? I D’Alema a Narni (Terni) hanno scelto la via «cotarelliana» dei vitigni internazionali: cabernet franc e pinot nero, da cui ricavano tre rossi e uno spumante. I Vespa (insieme a Bruno ci sono anche i figli Federico e Alessandro), hanno preferito invece gli autoctoni, col primitivo di Manduria in testa, ma anche il negroamaro. Anche qui tre vini rossi e un brut (ma in arrivo c’è anche un bianco da uve fiano che si chiamerà Bianco dei Vespa).
Come sono questi vini? Il rapporto qualità prezzo è politically correct, la stoffa è eccellente, le differenze sono molte. Quale sarà il Migliore?
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