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Paolo Colonnello per "La Stampa"
«Il giudizio di colpevolezza in questa storia vale per tutti», dice il pm Gaetano Ruta al processo per l'evasione fiscale da 200 milioni di Domenico Dolce e Stefano Gabbana. Ma per qualcuno vale di più. «Se tanti imprenditori commettono illeciti fiscali - sottolinea l'accusa - è perché da anni ci sono a Milano stimati professionisti pronti all'assenza totale di trasparenza».
Così se per le due star della moda la richiesta di condanna arriva a 2 anni e 6 mesi e dieci milioni di provvisionale richiesti dall'erario, per il loro fiscalista, Luciano Patelli, assai meno noto al grande pubblico ma molto quotato negli ambienti che contano, tanto da aver insegnato diritto tributario all'accademia della Gdf di Bergamo, arriva la richiesta più dura: 3 anni in qualità di «istigatore del piano illecito», condiviso «pienamente» da D&G.
A lui i pm Ruta e Pedio contestano il reato di omessa dichiarazione dei redditi e l'ideazione dell'architettura finanziaria che poggiava sulla società lussemburghese Gado, «un ufficio con due dipendenti senza alcun tipo di struttura organizzativa» controllata comunque dagli stessi Dolce e Gabbana che dal 2004 inizia a detenere però la titolarità dei marchi della premiata azienda di moda, fino ad allora proprietà personale dei due stilisti, pagando, come suggerito da Patelli, un'aliquota fiscale del 4 per cento, ovvero quella Lussemburghese.
Un trasferimento di proprietà valutato dalla Price Waterhouse Coopers in 360 milioni di euro che secondo le accuse non solo era di gran lunga inferiore alla cifra calcolata in seguito dall'Agenzia delle Entrate, pari a un miliardo e 193 milioni ridotta poi dalla commissione tributaria a 730 milioni, ma avrebbe consentito a Dolce e Gabbana di risparmiare milioni e milioni di tasse in un'attività «artefatta, funzionale soltanto alla realizzazione di un vantaggio fiscale concretamente ottenuto».
Basti pensare che la voce «altri redditi» di ciascuno dei due stilisti, dopo gli accertamenti fiscali, è lievitata da 25,4 milioni dichiarati a 422,3. Prescritto invece il reato di dichiarazione infedele dei redditi relativo a un'evasione di 832 milioni che avrebbe altrimenti portato l'evasione complessiva a oltre un miliardo di euro.
Sono tanti in realtà gli attori di questo processo che appare come un gioco di scatole cinesi. à vero, in cima ci sono loro, gli stilisti, che comunque reclamano la propria innocenza, ma subito sotto vengono i cosiddetti «professionisti»: dal fiscalista ai manager della Pwc che parteciparono alla quantificazione del valore dei «brand», Marco Tanzi Marlotti e Giovanni Ambrosetti, «le cui bugie fanno impallidire il povero Pinocchio» che i pm vorrebbero indagare per falsa testimonianza.
Secondo gli avvocati degli stilisti, Massimo Dinoia e Armando Simbari, la tesi dell'accusa si scontra con le valutazioni tecniche di fior di tributaristi e comunque non dovrebbe coinvolgere Dolce e Gabbana la cui posizione venne archiviata in un primo tempo dal gip e riaperta dalla Cassazione. I legali hanno ribadito di non accettare nemmeno la prescrizione perché i due stilisti meritano l'assoluzione. La sentenza il 19 giugno.
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