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Raffaella Polato per il Corriere della Sera
Silurato senza alcun complimento nella domenica dell' America ipnotizzata dal Super Bowl. E daLady Gaga, anche, che sullo stadio di Houston è arrivata con 300 droni a far da testimonial - guarda caso - proprio alla maison. Un successone, e chissà: magari era stato lui, Frederic Cumenal, a puntare su Miss Germanotta. Fired lo stesso, «con effetto immediato», contando magari di attenuare l' impatto annegando l' annuncio nella distrazione generale. Non ha funzionato, naturalmente: Wall Street ha comunque picchiato duro, e continua farlo.
Dopodiché non ha grande importanza sapere da quanto l' ormai ex amministratore delegato se l' aspettasse. Quel che è certo è che, se anche agli incubi si potesse appiccicare un brand, i suoi non avrebbero rivali. Non può averli Tiffany, per sempre la gioielleria della Colazione di Audrey Hepburn, per Cumenal il gruppo da cui è stato licenziato su due piedi perché sì, gli riconosce (o fa finta) il consiglio d' amministrazione, «ha aiutato a posizionare la società per il successo sul lungo termine», ma sul breve «il board è deluso».
Solo che se è davvero questa la spiegazione, il secondo «incubo brandizzato» dovrebbe in realtà essere tale per la stessa Tiffany. Il brand è Trump. Donald Trump. Il fatto è che i 58 piani della sua Tower - per chi ancora non lo sapesse: il grattacielo sulla Fifth Avenue che porta il nome del suo costruttore, oggi presidente degli Stati Uniti, e nel cui mega-attico continueranno a vivere la moglie Melania e il figlio Barron - confinano con quello che per New York e il mondo intero è il negozio-bandiera di Tiffany. Ora.
Già durante la campagna elettorale la sicurezza davanti e attorno al palazzo era stata comprensibilmente rafforzata. Dopo l' 8 novembre, quando la Trump Tower si è trasformata in una succursale anticipata della Casa Bianca, tutto il perimetro tra la 56esima e la 57esima Strada si è ritrovato chiuso, blindato, off limits. Posti di blocco. Transenne. New York Police Department. Servizi segreti. E turisti per ciò stesso scoraggiati a metter piede nell' inedita gabbia dorata di Manhattan, fino ad allora solo cuore del lusso Big Apple.
Non fosse stato il periodo prenatalizio, le generali lamentele forse non si sarebbero alzate così forti da boutique tanto up . Lì sono concentrati Armani, Gucci, Prada, Saks, Bulgari. Però è Tiffany che ha lanciato l' allarme più acuto: -14% nelle vendite di novembre-dicembre e, considerato che quel negozio fa da solo il 10% del fatturato totale, il calo è arrivato al 4% negli Usa e al 2% nel mondo.
Non bastasse, negli incubi del gioielliere il marchio Trump ha continuato ad affacciarsi fino al cambio di consegne alla Casa Bianca. Poteva essere un gigantesco spot, Melania Trump che portava in dono un qualche Tiffany doc nell' inconfondibile scatola «blu uovo di pettirosso». Gli occhi (e l' imbarazzo) di Michelle Obama nel riceverla hanno rischiato di trasformarlo in boomerang. Anche se non è per questo che Cumenal, il francese, ha pagato.
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