DAGOREPORT - A.A.A. ATTENZIONE ALLA MONETA: RITORNA MINACCIOSA SULLA SCENA GEOPOLITICA DEL MONDO -…
Da "Libero"
Gabriella Carlucci che se ne va nell'Udc non è solo un voto perso per Silvio Berlusconi. à anche un segno, a suo modo tragico, dei tempi. Perché rappresenta il cedimento dell'ultimo argine del berlusconismo, quello della tele-politica e della via parlamentare al reinserimento professionale delle protagoniste dello star system.
L'enormità della cosa è tale che, anche all'indomani del grande strappo, i protagonisti accusano il colpo. La parlamentare neo-centrista, in una sorta di mozione degli affetti postuma, rivela di «non averlo detto a Berlusconi» perché «gli voglio bene». Il Cavaliere, che pure si trova ad affrontare problemi vagamente più sistemici dell'addio della Carlucci, pare ci sia rimasto peggio che malissimo.
Nel Pdl si mastica assai amaro: i commenti off the records sono meno riferibili della media, e quelli a microfoni aperti rendono alla perfezione l'idea del clima. Valga per tutti quello di un Maurizio Gasparri al minimo sindacale di diplomazia: «Sospendo il mio giudizio», afferma il presidente dei senatori del Pdl, «in attesa che in un sussulto di coerenza ci si ricordi di come si è stati eletti».
Resta inevasa, tuttavia, la domanda delle domande: perché? Perché la Carlucci, che pure si sarebbe faticato ad immaginarsi frondista, dall'oggi al domani ha saltato il fosso? «Ma quella è da vent'anni che è pappa e ciccia con Cirino Pomicino!», si sfoga il senatore ex An che del crepuscolo della prima repubblica ha buona memoria.
E ne ha ben donde. Primo perché lo zampino dell'ex ministro nell'operazione Carlucci pare esserci, e bello grosso («Gabriella Carlucci è stata sempre una cattolica liberale: la sua scelta è la conclusione di un processo naturale», dice adesso 'O ministro, e se non è un indizio questo). E secondo perché è vero che, se un mentore politico la Carlucci ha mai avuto, questi non può che essere che lui. Il quale, a cavallo dell'ultimo decennio del secolo scorso, inserì le tre sorelle Carlucci nell'orbita democristiana (erano i tempi felici dell'andreottismo glam-pop, e quello delle showgirl ne fu uno dei volti più suggestivi).
A spulciare negli archivi, si apprende poi che non di sola immaterialità sarebbe campato il sodalizio tra i due. A fine anni Novanta, indagando sui mille rivoli in cui si era dissolta la celebre maxi-tangente Enimont, la Guardia di Finanza di Milano arrivò a rintracciare cinquanta milioni di lire in titoli di Stato finiti in mano alla ormai ex soubrette. La quale, ignara di tutto, spiegò di avere ricevuto quel denaro come «prestito» da parte dell'amico Cirino Pomicino. Quei soldi sarebbero poi stati utilizzati per pagare l'affitto annuo anticipato di un sontuoso appartamento romano, prima di essere restituiti interamente «in contanti» e «in due o tre donazioni».
Ma non è solo Cirino Pomicino ad essere tacciabile di paternità dello strappo. E nel partitone azzurro i retroscena e le maldicenze si rincorrono fuori da ogni controllo. Da più parti si mormora che la goccia che ha fatto traboccare il vaso sarebbe stata versata dal ministro dei Beni culturali Giancarlo Galan (storie di nomine nel settore della cinematografia, pare). Altri spiegano che i dissidi in realtà partono da più lontano e datano alle ultime Amministrative, in occasione delle quali sarebbero sorte frizioni territoriali col Pdl pugliese.
A un certo punto si diffonde la voce per cui lo strappo nascerebbe da motivazioni, per così dire, logistiche: «à andata via perché le hanno levato la stanza al partito». Qui le cose paiono stare diversamente: la Carlucci avrebbe sì perso l'ufficio, ma alla Camera. Più precisamente, in uno dei palazzi Marini (quelli che Montecitorio affittava per dislocare gli uffici e le cui concessioni da quest'anno non saranno rinnovate, a maggior gloria del taglio ai costi della politica). E la questione di spazio torna ad essere solo politica.
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