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1 - CASO TRAYVON, L'INDAGINE CONTINUA
Paolo Mastrolilli per "la Stampa"
Le proteste scoppiate da Los Angeles a New York aumentano la pressione su Obama per il caso di Trayvon Martin. Il dipartimento alla Giustizia però resta prudente sulla possibilità di aprire un nuovo capitolo giudiziario per la morte del ragazzo nero, ucciso nel febbraio 2012 da George Zimmerman, il vigilante ispanico che faceva la guardia al condominio del padre di Trayvon.
Dopo l'assoluzione di sabato, la legge Usa vieta di processare ancora Zimmerman per quell'omicidio, come era avvenuto per O.J. Simpson. Quindi le ipotesi percorribili sono due: incriminazione federale per «hate crime», ossia per aver agito motivato dall'odio razziale, oppure una causa civile per danni.
Sulla prima è intervenuto ieri il segretario alla Giustizia, il nero Eric Holder. «L'omicidio di Trayvon Martin - ha detto - è stato tragico e non necessario». Il suo dipartimento ha aperto un'inchiesta, per accertare l'eventuale violazione del «Matthew Shepard and James Byrd Jr. Hate Crimes Prevention Act», e «continuerà ad agire in una maniera consistente con i fatti e la legge». Il segretario però non ha promesso l'incriminazione di Zimmerman.
Come la Casa Bianca, del resto, che dopo la dichiarazione politica e personale fatta domenica dal presidente Obama, ha delegato le decisioni tecniche a Holder. Il problema che il governo deve aggirare è l'alto standard imposto dalla legge. Secondo l'«Hate Crimes Prevention Act», infatti, per risultare colpevole l'imputato deve commettere un reato con l'intenzione di violare i diritti civili della vittima, motivato da odio razziale o di altro genere. La prova di questo odio, finora, non è emersa nel comportamento di Zimmerman.
Quella sera andò dietro a Trayvon perché era nero, ma il colore della pelle non è mai entrato nelle conversazioni di George con la polizia, fino a quando gli agenti non glielo hanno chiesto. L'Fbi poi ha interrogato oltre trenta persone che conoscevano Zimmerman, e ha detto di non aver trovato le prove di una motivazione razziale.
Questo complica molto il lavoro di Holder, che dovrebbe mettersi contro il Bureau per l'incriminazione. Benjamin Jealous, presidente della Naacp, sta cercando conferme del razzismo di George, e ha trovato molte chiamate al centralino della polizia in cui denunciava giovani neri, o testimonianze di persone di colore che si sentivano minacciate dal vigilante. Ora si tratta di vedere se questi elementi basteranno a sostenere la difficile incriminazione che Holder e lo stesso Obama vorrebbero.
La seconda ipotesi è la causa civile per «wrongful death», come nel caso di O.J. Simpson, che fu condannato a pagare 33,5 milioni ai famigliari di Ronald Goldman. In questo contesto infatti non bisognerebbe provare la colpevolezza di Zimmerman «oltre ogni ragionevole dubbio», ma solo dimostrare che la sua responsabilità nella morte di Trayvon è più probabile della sua innocenza.
2 - USA, ZIMMERMAN RIAVRÃ LA PISTOLA CON CUI UCCISE TRAVYON MARTIN
Da "La Repubblica"
Riavrà una pistola e anzi, se vuole, proprio quella pistola: la stessa con la quale ha ucciso Trayvon Martin. Il dettaglio a corollario dell'assoluzione della "guardia volontaria" George Zimmerman per l'omicidio di un ragazzo di colore di 17 anni, e disarmato, è arrivato ieri in un Paese ancora diviso sulla sentenza, con manifestazioni in molte città e Times Square a New York occupata da chi protestava contro il verdetto, mentre la Casa Bianca ribadiva come bisognerà «fare di tutto perché tragedie di questo tipo non accadano mai più», mentre il Dipartimento della giustizia spiegava che il caso sarà riesaminato a livello federale.
George Zimmerman ha tutto il diritto di chiedere la restituzione della Kel Tec calibro 9 che ha usato la sera del 26 febbraio del 2012 contro Trayvon: lo spiega il suo avvocato, Mark O'Mara, precisando: «Ne ha più bisogno di prima, c'è un sacco di gente la fuori che lo odia, anche se non dovrebbe».
Le centinaia di migliaia di manifestanti che ieri continuavano a traversare Los Angeles, San Francisco, Atlanta, Philadelphia, Chicago, Oakland, il centro di New York, erano uniti dallo slogan «No justice, no peace» - niente giustizia, niente pace - lo stesso delle rivolte del â92 a Los Angeles, scatenate dall'uccisione di un nero da parte della polizia.
Ma alla protesta nelle strade, sfociata a Los Angeles e New York in incidenti e arresti, si affiancavano le riflessioni amare della stampa, con un Washington Post che titolava "Il sistema giudiziario ha funzionato, la giustizia meno", e il New York Times che evocava il "vecchio Sud", mentre la Casa Bianca si esprimeva di nuovo.
Dopo l'intervento a caldo di Obama, che già domenica aveva invocato la calma e la riflessione ribadendo che quella morte «è stata una tragedia» e bisognerà fare in modo che non accada più, ieri il portavoce Jay Carney spiegava che l'avvio di un'eventuale azione federale contro Zimmerman non dipende dal presidente.
La decisione spetta invece al segretario alla Giustizia Eric Holder, che ha a sua volta parlato di «tragedia che si poteva evitare» e ieri ha confermato che il Dipartimento è già al lavoro sugli atti del processo per valutare l'esistenza di un movente legato alla razza nell'uccisione di Trayvon Martin e controllare la correttezza dei meccanismi che hanno portato alla composizione di una giuria fatta tutta di donne bianche.
Intanto una di quelle sei donne, la giurata B-37, ha fatto sapere tramite l'agente letteraria Sharlene Martin che su questo processo vuole scrivere un libro, per spiegare come le attuali leggi della Florida rendessero impossibile una condanna e «aprire un dialogo sulla loro modernizzazione». In Florida come in molti altri Stati americani, vigono leggi che permettono l'uso della forza per difendersi in caso si ritenga di essere minacciati.
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