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Federico Fubini per il "Corriere della Sera"
Jacques Attali quasi scalpita per dire la sua. Consigliere per dieci anni di François Mitterrand all'Eliseo, presidente della commissione «per la liberazione della crescita» voluta da Nicolas Sarkozy e nella quale lui stesso invitò Mario Monti, autore di un libro del 2010 in cui prevedeva la crisi sul debito di Roma («Come finirà ? L'ultima chance del debito pubblico», Fazi), Attali conosce troppo bene i legami fra Francia e Italia per pensare che il voto per l'Eliseo riguardi solo il suo Paese.
C'è una lezione che si fa sentire oltre i confini della République?
«Dall'intera stagione elettorale emerge la tendenza, molto forte in Europa, al rifiuto di politiche imperniate solo sull'austerità . Non è un'inclinazione francese, è un fenomeno esteso a molte aree d'Europa. Ed è comprensibile, perché senza una politica per la crescita l'euro è destinato a implodere».
Teme che troppa austerità possa distruggere la moneta unica?
«Senza una svolta per lo sviluppo, l'euro non può durare a lungo. Ma dobbiamo accettare l'idea che non ci sarà crescita senza federalismo europeo. Francesi, italiani, e tutti gli altri: siamo a un bivio, dobbiamo compiere scelte chiare. E in questo la dichiarazione di Mario Draghi (presidente della Banca centrale europea, ndr) per un patto di crescita va nella direzione giusta».
Dunque il voto alle estreme in Francia e la tendenza all'antipolitica in Italia non è contro l'Europa in astratto ma contro le scelte oggi praticate in Europa?
«Al primo turno delle presidenziali molti hanno votato contro l'euro così come esiste oggi. Questo non significa che sarebbero contro un'Europa più attenta alla crescita. L'alternativa è sempre più chiara: senza Europa federale non può esserci crescita e senza crescita l'euro non tiene. Non serve un'Europa ideologica, serve un'Europa della necessità . Nei prossimi cinque anni dobbiamo scegliere tra il federalismo europeo o sparizione della nostra moneta».
Intanto pare che nei nostri Paesi la Germania sia sempre più impopolare.
«Bisogna vedere quale Germania. La Germania è molteplice, ha accettato a Maastricht la condivisione della moneta, ora gli altri Paesi devono accettare di condividere con lei il controllo delle politiche di bilancio. Questo è stato capito a Berlino prima che altrove. La Germania comincia a rendersi conto che senza un passo politico in avanti l'euro sparirà e per ragioni storiche ha meno ego nazionale della Francia. Dunque si trova all'avanguardia nel poter accettare il federalismo europeo. Ma anche la Francia capisce che l'euro è in pericolo e questo favorirà un avanzamento».
Gli elettori restano riluttanti. Vede analogie fra chi vota Front national in Francia e chi vota Lega in Italia?
«Sì e no. La Francia è centralista, la sola identità è quella nazionale, dunque chi vota per Marine Le Pen risponde a una linea diversa da quella della Lega. Ma è vero che la composizione sociale dell'elettorato è simile. à una base rurale, operai, gente che si sente minacciata nel proprio modo di vivere».
Non teme che la riluttanza dei politici a parlare con franchezza sulla realtà dei problemi alimenti il populismo?
«Gli uomini politici non possono dire tutto, perché il loro obiettivo è di farsi eleggere. Ma non per questo devono insultare il futuro come alcuni di essi fanno. Abbiamo fatto dell'Europa il capro espiatorio, l'avversario ufficiale della crescita, l'Europa ormai è colpevole di tutto, da Schengen in poi. Questo vuol dire insultare il futuro».
Crede davvero a una congiuntura politica, in Francia come in Italia, che avvicini l'obiettivo di un federalismo europeo?
«In Italia le circostanze politiche sono completamente diverse rispetto alla Francia. Il presidente del Consiglio è il mio amico Mario Monti, e spero che lo resterà a lungo. Monti può dare un contributo importante a un'Europa federale, ma non solo per politiche della concorrenza. Servono anche politiche industriali, politiche sociali. Non si può fare l'Europa solo con politiche di apertura del mercato e sono sicuro che Mario Monti capisca questo aspetto».
Eppure sia l'Italia che la Francia hanno perso quote di mercato all'export. La competitività non è un problema?
«Assolutamente sì, è un elemento comune ai nostri due Paesi, anche se l'Italia ha perso meno competitività rispetto alla Francia. Lo si vede dall'avanzo che avete nel bilancio pubblico prima di pagare gli interessi. E lo si vede dalla bilancia delle partite correnti (al netto della bilancia energetica, ndr). Ma bisogna anche dire che l'euro è sopravvalutato. à per questo che serve una strategia industriale complessiva che coinvolga il settore dell'energia, le telecomunicazioni, la ricerca, l'economia verde, le piccole e medie imprese. Tutto questo non può succedere su scala nazionale. Va fatto su scala europea».
Perché lei è pessimista al punto da temere la fine dell'euro?
«Non sono pessimista. Penso che la storia vada assecondata e che si debba saperne recepire le lezioni».
Fra queste c'è anche l'idea di arrivare all'eurobond?
«Un'opzione possibile per l'eurobond è mettere in comune il debito pubblico. Poi c'è un tipo di eurobond più limitato, per eseguire progetti specifici. Sia l'uno che l'altro saranno sempre più necessari».
I francesi e gli italiani hanno accettato l'idea di lavorare di più e meglio, per crescere in un'economia competitiva?
«Lo hanno capito abbastanza bene, non penso che sia un problema. Gli europei lavorano, ciascuno secondo una propria cultura nazionale che è ovviamente diversa da Paese a Paese».
L'Italia sta introducendo una riforma del lavoro, in questo anticipando la Francia. Che ne pensa?
«Non possiamo pensare che una riforma sia convincente se a una revisione dei contratti non corrisponde l'introduzione o il rafforzamento della formazione per coloro che dovessero perdere il posto. E su questo non dirò altro».
Sul debito è più l'Italia sulla strada giusta o la Francia su quella sbagliata?
«Sono situazioni, ancora una volta, diverse. Il debito italiano è notevolmente più alto, ma l'Italia ha un avanzo di bilancio (pre-interessi, ndr). Da voi c'è stato un passato di lassismo fiscale, dunque avete più margine per intervenire. In Francia il debito è più basso, ma la dinamica è all'aumento. Per noi non sarà facile ma dovremo arrivare a un piano di risanamento. Sarà un tema che si porrà dopo le elezioni».
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