DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Massimo Gaggi per “il Corriere della Sera”
«È un tipo coraggioso, estremamente audace», dice un eccitato Edward Snowden, davanti ai documenti segreti ottenuti da una nuova fonte del sito The Intercept . «Certo, è stato ispirato da quello che hai fatto tu», gli risponde Glenn Greenwald, il giornalista che ha reso pubbliche le informazioni classificate sottratte dall’ex contractor agli archivi della Nsa, l’agenzia federale di intelligence.
Il dialogo, contenuto nelle scene finali di «Citizenfour», il documentario di Laura Poitras sul caso Snowden uscito di recente, ha spinto gli investigatori a raddoppiare gli sforzi per verificare, anche alla luce delle nuove rivelazioni di The Intercept, il nuovo sito indipendente di inchieste creato da Greenwald con l’aiuto del miliardario Pierre Omidyar, se effettivamente nell’intelligence Usa si era aperta un’altra falla.
È bastato poco per ottenere la temuta conferma: tra i documenti utilizzati dalla nuova testata giornalistica ce ne erano alcuni che sono stati redatti dopo la fuga di Snowden, riparato prima ad Hong Kong e poi a Mosca.
Adesso — secondo la ricostruzione del giornalista Michael Isikoff, pubblicata da Yahoo! News e non smentita dal governo americano — l’Fbi ha identificato il cosiddetto «second leaker»: il secondo personaggio con accesso agli archivi segreti che ha aperto un’altra falla nel muro dell’apparato di sicurezza Usa.
Non se ne conosce il nome né il ruolo, né è chiaro se sia stato arrestato. Tutto quello che si sa è che si tratta di un altro contractor che gestisce in appalto servizi per il Pentagono o le reti di intelligence. I «federali» hanno perquisito la sua casa che si trova nel nord della Virginia, cioè nei sobborghi meridionali di Washington.
Non tutto deve essere, però, filato liscio nel tentativo di individuare e catturare questo nuovo «scassinatore» di segreti governativi. Infatti non solo non ci sono notizie sulla sua detenzione, ma il giornalista autore dello scoop riferisce anche di un certo malumore dei servizi segreti perché il ministero della Giustizia, sfiancato dalle accuse di essere un persecutore della libera stampa e dei «whistleblower» (i personaggi che denunciano le malefatte delle amministrazioni nella quale lavorano), sarebbe riluttante a perseguire queste nuove fughe di notizie come gravi crimini federali.
Il portavoce del ministero della Giustizia Usa, Marc Raimondi, si è rifiutato di commentare il caso, ma si sa che Eric Holder, ministro ormai dimissionario, e già più volte messo sotto accusa della stampa, non ha alcuna voglia di chiudere la sua esperienza di governo con la fama del liberticida: è rimasto ad esempio sospeso il caso di James Risen, il giornalista del New York Times che sembrava destinato al carcere per il suo rifiuto di rendere note le fonti di notizie da lui pubblicate che, secondo il governo, hanno creato rischi per la sicurezza nazionale. Un’accusa che pende da mesi, ma non è mai stata formalizzata.
Secondo altri, il governo non ha affatto rinunciato a perseguire i «leaker»: semplicemente non dispone ancora di tutti gli elementi necessari per un’incriminazione. Il caso ha preso consistenza all’inizio di agosto quando, alla vigilia dell’uscita del film della Poitras, The Intercept ha pubblicato un servizio sulla crescita abnorme del database dei sospetti terroristi: un archivio, quello del Tide (acronimo che sta per Terrorism Identities Datamart Environment) arrivato a contenere più di un milione di nominativi, per il 99% soggetti stranieri.
Gli investigatori federali hanno accertato che le informazioni vengono da un documento del National Counterterrorism Center dell’agosto del 2013: dopo la fuga all’estero di Snowden. Da qui la certezza dell’esistenza di un’altra fonte. Che, però, potrebbe essere di rango inferiore: fin qui il «second leaker» ha infatti tirato fuori documenti classificati «Secret» e «Noforn», cioè da non fornire a governi stranieri, ma non «Top Secret» come quelli sottratti a suo tempo da Snowden .
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