DAGOREPORT – SE C’È UNO SPIATO, C’È ANCHE UNO SPIONE: IL GOVERNO MELONI SMENTISCE DI AVER MESSO…
Marco Ansaldo per “la Repubblica”
In salotto, nella fattoria di Saylorsburg, tra i fitti boschi della Pennsylvania, tiene alcuni barattoli di vetro: dentro c’è il terriccio della Turchia, preso in regioni diverse. Lui a volte li apre, li odora, e sente fra le dita la terra dove non vive più dal 1999. Fethullah Gülen oggi ha 75 anni, e se dovesse mai rientrare, estradato dagli Stati Uniti, la forca in Turchia verrebbe riaperta solo per lui.
Per Recep Tayyip Erdogan, un tempo suo partner e alleato, e non solo per la comune fede religiosa, è diventato «l’ispiratore del golpe», «il capo dei terroristi», «il burattinaio del colpo di Stato». Per i suoi seguaci, che lo adorano, l’imam che crede nella scienza, nel dialogo interreligioso, in una democrazia multipartitica.
turchia blitz polizia a istanbul per chiudere tv pro gulen
Gülen è un predicatore islamico, fondatore del movimento Hizmet (il servizio), capace di diffondere scuole religiose in 160 Paesi, dotato di fiuto da imprenditore nel settore dell’edilizia, ma abile pure come editore. Potente, influente, ricco. In grado di avviare un dialogo con il Vaticano, come nel 1998 quando fece visita a Giovanni Paolo II, e di incontrare leader religiosi ebrei. Ha milioni di seguaci. Propone la visione di un Islam moderato. Passa ore in meditazione. Ha seri problemi di diabete e al cuore.
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Dal 2013 Erdogan sta cercando di smantellare il suo potere, pezzo per pezzo. Con periodici arresti di agenti e giudici, considerate categorie a lui vicine. E poi attaccando i suoi media. Un bel quotidiano come Zaman, con un’edizione addirittura in inglese e giornalisti di ottima caratura, è stato chiuso dalla polizia e ribaltato nella linea editoriale assumendo reporter filogovernativi. Così per l’agenzia di stampa Cihan, la rete Samanyolu tv, e ieri per alcuni siti online.
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Dal golpe Gulen ha preso subito le distanze: «Condanno, nei termini più duri, il tentato colpo di Stato militare. Al governo si deve arrivare attraverso un processo di elezioni libere ed eque, e non attraverso la forza». Poi ha contrattaccato: «Io non penso che il mondo possa credere alle accuse mosse dal presidente Erdogan. E’ possibile si sia trattato di un colpo di Stato messo in scena per portare ad altre accuse contro di noi».
Eppure c’era un tempo in cui i due avversari acerrimi di adesso erano amici. Uniti dalla necessità di allearsi contro il nemico comune, l’esercito, desiderosi entrambi di ampliare la propria sfera di influenza. Erdogan va al potere alla fine del 2002 con il suo nuovo partito conservatore, ma dalle innegabili radici religiose. Gülen lo affianca con il suo movimento influente.
L’anno dopo, indagini della polizia unite a inchieste della magistratura, iniziano a minare l’immagine dei generali, ancora potentissimi. Nel 2008 e 2010 esplodono inchieste su corruzione e tentati golpe, e i militari sono per la prima volta costretti ad arretrare dalle stanze del potere. Protagonista del colpo di scena una generazione di giudici presi in Anatolia, capaci di accedere a una buona istruzione grazie a borse di studio offerte dalle scuole di Gülen.
Nel 2011, però, cambia tutto: quando vengono presentate le liste elettorali del partito, circa 60 politici considerati vicini alle posizioni di Fethullah restano fuori. Le scuole del movimento cominciano a essere vessate. Gli appalti più importanti, i contratti più remunerativi, finiscono a imprenditori vicini al partito, lasciando alle imprese di Gülen solo briciole. Hizmet diventa “la struttura parallela”, un apparato sovversivo infiltrato in media, magistratura, università, polizia, esercito.
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Passano due anni, e comincia la vendetta. Sono in molti a immaginare lo zampino di Gülen dietro la Tangentopoli turca del dicembre 2013, scoppiata con video provenienti dagli Usa, che colpisce uomini d’affari e politici, fino a coinvolgere il figlio di Erdogan, Bilal.
Altri vedono negli scoop giornalistici che mettono in rilievo il coinvolgimento del governo turco nel passaggio di armi in Siria ancora un ruolo di Fethullah. Gülen è residente negli Usa, con tanto di green card. La richiesta di estradizione da Ankara partirà a giorni. Però l’America vuole le prove. E la Turchia dovrà produrle, se vuole infine mettere le mani sull’ultimo nemico.
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