COME MAI ALLA DUCETTA È PARTITO L’EMBOLO CONTRO PRODI? PERCHÉ IL PROF HA MESSO IL DITONE NELLA…
Fausto Carioti per Libero Quotidiano
Hillary Clinton si è costruita un alibi al quale forse crede sul serio: è stata tutta colpa di Vladimir Putin.
Non fosse stato per l' intromissione dei russi nelle elezioni presidenziali americane, per i soldi del Cremlino, per gli hacker, per i falsi account creati su Facebook e gli altri social network, adesso alla Casa Bianca ci sarebbe lei, non Donald Trump.
Ci ha riempito un libro, con questa ossessione. Nelle pagine fresche di stampa di What Happened (Cosa è successo), i russi sono ovunque. «Ora che ci hanno infettato e hanno visto come sono deboli le nostre difese, continueranno a farlo. Prenderanno di mira i nostri amici ed alleati. Il loro scopo finale è minare - forse addirittura distruggere - la stessa democrazia occidentale».
donald trump e vladimir putin si stringono la mano
Molti sono con lei: credere che Trump sia stato messo lì da Putin è l' ultima consolazione rimasta ai democratici.
Anche tra i supporter della Clinton, però, c' è chi si è rotto le scatole del mito della vittoria negata. E almeno uno di loro non è un elettore qualunque. Si chiama Mark Penn, ha 63 anni ed è stato lo stratega a capo della campagna elettorale con cui nel 1996 Bill vinse il secondo mandato alla Casa Bianca, della campagna con cui Hillary ottenne il seggio al Senato nel 2000 e di quella che perse otto anni dopo alle primarie del partito democratico, schiantandosi contro Barack Obama, che divenne presidente.
hillary clinton donald trump il town hall debate
Proprio per questo motivo, l' articolo che ha scritto per il Wall Street Journal, intitolato «Non puoi comprare la presidenza con centomila dollari», è stato un colpo al cuore dei nemici di Trump.
«Le fake news sulle fake news sono praticamente infinite», sostiene Penn, E anche se non collega l' ultimo anello, cosa intenda dire è chiaro: la vera spacciatrice di «fake», la più grossa sparatrice di bufale, in questo caso è Hillary.
«Gli americani preoccupati per l' influenza della Russia», scrive l' ex braccio destro dei Clinton, «si concentrano su una manciata di annunci su Facebook», il cui valore è stimato appunto in centomila dollari, «come se non ci fossero stati anche tre match televisivi da 90 minuti l' uno, due convention di partito trasmesse dalle tv e 2,4 miliardi di dollari spesi per la campagna elettorale dello scorso anno».
Il budget totale della Clinton ammontava a 1,4 miliardi, quello di Trump a circa un miliardo: se davvero i russi avessero investito quei centomila dollari su Facebook, «avrebbero eroso appena lo 0,025% del vantaggio finanziario di Hillary».
Dopo «40 anni di esperienza in politica», Penn può dire con cognizione di causa che «ci vogliono decine di milioni di dollari per fornire messaggi significativi alla parte contesa dell' elettorato».
In ogni caso, ricorda, non è la prima volta che una potenza straniera mette soldi sul piatto delle elezioni americane. Nel 1996 il governo cinese «pompò centinaia di migliaia di dollari nella campagna di rielezione di Bill Clinton». Ci furono indagini da parte del congresso di Washington, ma si risolsero in un nulla di fatto e «la vita andò avanti». Giusto tenere a mente anche questo, visto che i Clinton e i loro inconsolabili orfani sembrano essersene dimenticati.
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