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Viviana Mazza per “il Corriere della Sera”
L’ultimo desiderio di Reyhaneh Jabbari non è stato esaudito. La ventiseienne iraniana impiccata sabato per l’omicidio di un uomo che accusava di tentato stupro, aveva chiesto una cosa al suo Paese: di poter donare i suoi organi. «Non voglio marcire sottoterra», diceva in un messaggio audio registrato ad aprile, pregando la madre di fare di tutto «affinché, dopo l’impiccagione, il mio cuore, i reni, gli occhi, le ossa — e qualunque altra cosa possa essere trapiantata — vengano donati a qualcuno che ne ha bisogno».
Ma le autorità non lo hanno permesso. Reyhaneh è stata seppellita domenica mattina nella sezione 98 del cimitero di Behesht-e Zahra, vicino alla città santa di Qom. Secondo l’agenzia di informazione iraniana Iscanews , le forze di sicurezza non hanno permesso alla famiglia, agli amici e ai sostenitori di celebrare un vero funerale né di recitare le ultime preghiere, una tradizione importante per i musulmani.
Alla madre Shole è stato concesso di vedere per un attimo il volto di Reyhaneh, avvolta nel sudario. «Ho visto il collo, con i segni del cappio», ha raccontato ieri alla tv iraniana Manoto , con sede a Londra. Nell’intervista, Shole ha continuato a difendere la figlia: «Mortaza Sarbandi non era a pregare quando è stato ucciso, è stato ucciso perché voleva violentare Reyhaneh».
Il figlio di Sarbandi, Jalal, avrebbe anche filmato gli ultimi istanti di vita della ragazza prima che salisse sul patibolo; le ha chiesto ancora una volta di smentire il tentato stupro in cambio del perdono, ma Reyhaneh ha rifiutato. «Reyhan, Reyhan», gridava la madre al cimitero. «Oh disonesti, vorrei morire». Le sue grida sono impresse in un video diffuso online. Indossava un foulard turchese: in questo ha potuto rispettare le ultime volontà della figlia che le aveva chiesto di non vestirsi di nero.
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